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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2013 alle ore 08:38.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:37.

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Kitagawa Utamaro (1754?-1806) «Amanti nella stanza di sopra», 1788Kitagawa Utamaro (1754?-1806) «Amanti nella stanza di sopra», 1788

«Il becco intrappolato/ in una conchiglia,/ il beccaccino/ non se ne può volare via/ una sera d'autunno» sta scritto sul ventaglio della più famosa immagine erotica dell'arte giapponese creando un ironico contrasto che spezza l'intensità della scena raffigurata. Nella sala al piano superiore di una casa di piacere, con le finestre scorrevoli spalancate a incorniciare rami d'un albero di camelia, una coppia si abbraccia in procinto di unirsi. L'atmosfera emana un languore di fine estate pari a quello delle membra e dei gesti morbidi, colmi di anticipazione.

Il biancore delle gambe, a contrasto con l'eccitante rosso della veste più intima della donna, il movimento flessuoso dei corpi prossimi all'amplesso, la delicatezza dell'orecchio di lei reso con tratti sottili nonché la nuca, la parte del corpo la più seducente secondo i canoni giapponesi della bellezza, sono elementi che amplificano la tensione emozionale. Essa viene esaltata dalla delicata carezza impressa dalle dita della giovane sulla guancia del l'uomo e dal premere della mano di lui sulla spalla di lei. Eppure tutto ciò non è altrettanto struggente dello sguardo che i due si scambiano con la sottile linea di contorno dell'occhio di lui perduta a continuare nella curva dei capelli di lei. Quello sguardo, quasi invisibile, è lo sguardo d'amore e di desiderio più intenso di tutta l'arte giapponese, ma tale intensità è interrotta dalla poesia umoristica come lasciata cadere sul ventaglio aperto.

Il celeberrimo foglio è tratto dall'album di silografie «Il canto del guanciale» con dodici scene erotiche create da Utamaro nel 1788 per il più raffinato editore del l'epoca, Tsutaya Juzaburo, opera che lo lanciò come l'indiscusso maestro della bellezza femminile. Esso si trova ora esposto nella mostra Shunga. Sex and pleasure in Japanse art aperta al British Museum di Londra.

E bisogna dire grazie al British Museum e al suo direttore, Neil MacGregor, per avere finalmente infranto il tabù di questo genere d'arte con una mostra esemplare. Con umorismo e grazia da understatement britannico MacGregor narra che «Il museo non ha sempre saputo esattamente come comportarsi col sesso – ed è stato sempre alquanto nervoso a mostrarlo – creando, per esempio, una Sezione Nascosta o Secretum nel 1865 per ospitare la collezione Witt di oggetti erotici da tutto il mondo». Tale prudenza, e però anche accumulazione, sono continuate nel secolo e mezzo successivo talché il British Museum si trova oggi a possedere una delle maggiori collezioni di arte erotica giapponese al mondo.

L'arte erotica del Sol Levante, soprattutto la pittura e la grafica chiamate «immagini della primavera» (shunga) ha svolto e svolge un ruolo assai più ricco e complesso nel mondo dell'arte che non in Occidente dove il genere si è meno sviluppato a causa forse della sua lettura quale veicolo di comportamenti peccaminosi.

In Giappone la produzione di immagini erotiche è documentata dall'epoca classica di Heian (794-1185) dove risulta presente sia tra l'aristocrazia di corte sia nei templi. Il progetto del British Museum, nato dagli sforzi congiunti di Timothy Clark, curatore delle raccolte giapponesi al BM e a cui si devono alcune mostre assai importanti a Londra e in Giappone e da Adrew Gerstle titolare di studi giapponesi alla London School of Oriental and African Studies, si è nutrito di fonti giapponesi come europee e americane nonché dalla collaborazione di studiosi dai tre continenti. Il valore di questa mostra e del catalogo che l'accompagna, coi contributi di trentacinque autori, sta nell'analizzare il fenomeno shunga non solo dalla prospettiva estetica, ma anche da altre angolazioni: sociali, interculturali e finanche religiose. La mostra è imperniata sulla produzione d'arte erotica sviluppatasi in Giappone tra il Sei e l'Ottocento quando essa aumentò in modo esponenziale. Questo fatto non fu tanto legato a un rilassamento dei codici neoconfuciani di comportamento, che anzi essi vennero periodicamente richiamati da apposite leggi suntuarie, quanto all'inarrestabile fenomeno di inurbamento con conseguente espansione dei ceti cittadini e affermazione della cultura borghese del «Mondo Fluttuante» (ukiyo) di cui Edo, oggi Tokyo, divenne paradigma per tutto il paese. Per questo motivo la mostra, con opere di provenienze sia istituzionali sia private, è stata divisa in sezioni come pure il catalogo che ne approfondisce e documenta i temi.

Dopo una parte introduttiva su aspetti diversi dell'arte erotica e dove è anche collocata l'opera descritta in apertura, la prima sezione è dedicata alle origini degli shunga. Vari fattori ne influenzarono l'enorme sviluppo in epoca proto moderna. Anzitutto la tradizione pittorica del l'erotismo giapponese nei secoli precedenti che però si manifestava, come del resto ogni altro genere di opere, in modo privato nei palazzi dell'aristocrazia e nei templi – e qui figura l'inedito e divertente rotolo, che sarebbe piaciuto all'Aretino, di come introdurre tra le monache un prete in un sacco. Quindi esempi d'arte erotica cinese sia su rotolo sia nei libri a stampa, e infine il grande impulso dato dall'espansione delle immagini a stampa tanto sciolte quanto nei libri.

La sezione successiva è dedicata ai grandi capolavori dell'arte erotica dal 1765 alla metà dell'Ottocento. Il 1765 è l'anno scelto come spartiacque di una prima fase della silografia dell'ukiyoe e la diffusione di policromia e alte tirature, espressione della più matura cultura cittadina e borghese. Qui si trovano i grandi maestri dell'erotismo che furono però anche i grandi maestri dell'ukiyoe tout court. Questo fatto è interessante perché a differenza dell'arte europea in cui la produzione erotica dei grandi maestri si rivela meno che sporadica, quella degli Harunobu, Utamaro, Eishi, Hokusai, Kuniyoshi è molto alta e ora che gli studi nella materia si stanno sviluppando in modo scientifico e grandi collezioni affiorano si parla del 15-20% dell'intero output di ciascun artista.

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