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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2013 alle ore 12:23.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2013 alle ore 14:32.

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A 33 anni può capitare che ci si laurei, perché talvolta il futuro è meglio lasciarlo dormine: a svegliarlo prima del tempo, come diceva Kafka, rischi di ottenere un presente assonnato. Poi c'è chi per indole non dorme molto, non perde tempo e a 13 anni già si alterna tra i banchi di scuola e il lavoro che farà da grande: vedi alla voce Davide Comaschi, maestro pasticciere che a 33 anni si è laureato sì, ma campione del mondo di cioccolateria.

La scorsa settimana a Parigi il capo-pasticciere della Martesana di Milano già campione nazionale al Sigep si è aggiudicato l'ambito «World Chocolate Masters», massimo riconoscimento di settore, sbaragliando una concorrenza di 21 artisti della cioccolata provenienti da tutto il mondo. «Sono contento per me, – racconta subito dopo aver smaltito la sbornia dei festeggiamenti – per il mio staff di lavoro che mi segue tutti i giorni e anche per l'Italia che attraversa un momento difficile, che spesso a livello internazionale viene accusata di scarsa credibilità, non sempre giustamente.

Per come la penso io ciascuno di noi, nel suo piccolo, è giusto che faccia qualcosa per migliorare la reputazione del nostro Paese». Come? «Lavorando innanzitutto. Con passione e dedizione». Le parole di Comaschi fanno impressione perché a pronunciarle è un giovane italiano che ce l'ha fatta. «È vero, – commenta – in altri settori da noi non è così facile affermarsi prima di una certa età. Un peccato perché i giovani, quelli bravi e pronti a rimboccarsi le maniche, rappresentano una risorsa, una felice spinta innovatrice per tutti».

Qual è la ricetta di Comaschi per valorizzarli al massimo? «Forse – risponde sorridendo il maestro campione del mondo – bisognerebbe prendere spunto dall'arte della pasticceria». E non è affatto una battuta: «Nel nostro settore – racconta – si comincia presto con la pratica. Già negli anni della scuola hai l'opportunità di fare stage presso esercizi e magari succede che, più sei portato, più è prestigiosa la struttura che ti prende con sé come apprendista. La teoria da sola non basta. Mi piace usare sempre la metafora dello sporcarsi le mani – continua Comaschi – perché, quando parli di pasticceria, non è affatto una metafora».

È davvero più semplice, nel settore dell'artigianato dolciario, trovare lavoro? «Se non altro, - risponde il maestro – viene premiato chi ha voglia di fare e non si risparmia, chi mette la passione per le proprie creazioni prima di ogni altra cosa. Un giovane che, nel corso di uno stage, si affaccia sul nostro mondo con questo spirito trova lavoro senza troppi problemi». Comaschi si sofferma poi su un concetto molto importante: «Da noi al centro di tutto c'è quella che una volta si chiamava bottega. Le pasticcerie che funzionano meglio sono quelle in cui esiste una specie di patto generazionale tra i maestri, pronti a mettersi in gioco su tutto perché tutt'altro che gelosi della loro arte, e gli apprendisti, pronti a tutti i sacrifici possibili per crescere. Forse questo approccio andrebbe esportato anche agli altri settori». A pensarci bene fu proprio questo approccio a fare grande il nostro Rinascimento. Se tornasse non sarebbe affatto male, visto che è di un altro rinascimento che abbiamo bisogno.

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