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Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2013 alle ore 14:08.
L'ultima modifica è del 07 novembre 2013 alle ore 14:52.

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"Quando sono arrivato in Italia c'era una situazione di disordine pubblico: c'erano manifestazioni e morti in continuazione.. Se i comunisti fossero arrivati al potere e la democrazia cristiana avesse perso, si sarebbe verificato un effetto valanga. Gli italiani non avrebbero piu controllato la situazione e gli americani avevano un preciso interesse in merito alla sicurezza nazionale. Mi domandai qual era il centro di gravità che al di la di tutto fosse necessario per stabilizzare l'Italia. A mio giudizio quel centro di gravita si sarebbe creato sacrificando Aldo Moro" . A distanza di molti anni il 30 settembre a Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24 Pieczenick ha rotto il silenzio e ha risposto per mezz'ora alle domande di Giovanni Minoli. Steve Pieczenik, consulente del Dipartimento Usa nel 1978 in materia di terrorismo, componente del comitato di crisi voluto da Francesco Cossiga, allora ministro dell'Interno, durante il rapimento e poi l'uccisione di Aldo Moro da parte delle Br, ha parlato di una "manipolazione strategica al fine di stabilizzare la situazione dell'Italia" in quel periodo. Racconta di aver temuto che Moro venisse alla fine rilasciato: "Mi aspettavo che le Br si rendessero conto dell'errore che stavano commettendo, con il rapimento, e che liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano - ha spiegato l'ex consulente Usa a Mix24 - Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro".

Nel comitato di crisi per il rapimento Moro, Pieczenik sedeva insieme al criminologo Franco Ferracuti, l'esperto in difesa e sicurezza Stefano Silvestri, una grafologa e il magistrato Renato Squillante. "In quei giorni quotidianamente, anche più volte, parlavo con Cossiga" dice il consulente inviato a Roma dall'allora segretario di Stato americano Cyrus Vance. "Abbiamo passato insieme più di 40 giorni". E, aggiunge, "Cossiga capì subito che il problema non era solo legato alla ‘persona' Moro, ma che doveva affrontare una crisi dello Stato, che avrebbe dovuto ‘stabilizzare' l'Italia". Di più: "A un certo punto, per poter incidere in una situazione di crisi, sono stato costretto a sminuire la posizione e il valore dell'ostaggio, a Cossiga ho suggerito di screditare la posta in gioco" fino a suggerirgli – rivela a Radio 24 - di dire che "quello delle lettere, le ultime soprattutto, non era il vero Aldo Moro". Così come bocciò l'iniziativa del Vaticano di raccogliere una cospicua somma di denaro, pare di dieci miliardi di lire, per pagare un riscatto. "In quel momento stavamo chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro avrebbe potuto essere rilasciato. Non era per Aldo Moro in quanto uomo: la posta in gioco erano le Brigate rosse e il processo di destabilizzazione dell'Italia". Chiede Minoli: ‘Sostanzialmente, lei fin dal primo giorno ha pensato e ha detto a Cossiga: Moro deve morire'. "Per quanto mi riguarda, la cosa era evidente - risponde il consulente - Cossiga se ne rese conto solo nelle ultime settimane. Aldo Moro era il fulcro da sacrificare attorno al quale ruotava la salvezza dell'Italia".

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