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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2013 alle ore 12:08.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2013 alle ore 18:29.

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Le quote di Bankitalia in mano al ministero del Tesoro valgono tra 5 e 7,5 miliardi di euro. La conferma ufficiale arriva dal rapporto sull'aggiornamento del valore delle quote di capitale di via Nazionale redatto su richiesta del ministro dalla stessa Bankitalia. Ad anticipare i dati della stima era stato già il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, nel corso dell'audizione del 29 ottobre scorso alle commissioni Bilancio di Senato e Camera annunciando al contempo una norma ad hoc sulla materia. L'operazione di stima è finalizzata a una rivalutazione delle quote indicata anche dal premier, Enrico Letta, nel corso dell'incontro con i parlamentari del Pd sul Ddl di stabilità, ora all'esame del Senato.

Nei giorni scorsi è stato stimato che la forchetta in mano al Tesoro potrebbe portare quindi nelle casse dello Stato un gettito compreso fra 800 milioni e 1,12 miliardi. L'esatto ammontare dipenderà dall'aliquota fiscale che si deciderà di applicare all'operazione ma che secondo diversi esperti del mondo bancario e politico dovrebbe essere pari al 16%, la stessa introdotta nella legge di stabilità per la rivalutazione delle partecipazioni delle imprese.

L'ipotesi di rivalutazione presenta però una serie di problemi legati alla tempistica: l'operazione dovrà comunque attendere il via libera della Bce circa l'utilizzo delle risorse stesse. Proprio per scongiurare possibili rilievi dell'Unione europea il Governo ha volutamente inserito nel Ddl sulla legge di stabilità la norma di carattere generale applicabile a tutti i contribuenti sulla rivalutazione al 12 o al 16% dei beni d'impresa. In questo modo, quando arriverà la norma sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia, i possibili dubbi di un aiuto di Stato riservato alle banche dovrebbero cadere nel vuoto.

La norma sulla rivalutazione dei beni d'impresa che dovrà fare da cornice a quella sulla Banca d'Italia entrerà in vigore con la stabilità soltanto il 1° gennaio. Questo vuol dire che non potrebbe essere messa a copertura dell'Imu come pure richiesto da alcuni esponenti del Pdl nei giorni scorsi perché la copertura Imu dovrebbe dare i suoi effetti già quest'anno.

I contenuti del rapporto
Lo studio, redatto dalla Banca d'Italia con l'ausilio di esperti tra cui Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi, spiega che l'assetto azionario della banca (partecipata da banche, imprese di assicurazione e istituti di previdenza e assistenza) va rivisto prima di tutto perché i processi di concentrazione avvenuti negli ultimi anni hanno accresciuto la percentuale del capitale detenuta dai più grandi gruppi bancari. Vanno inoltre evitati gli effetti della legge 262 del 2005 che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà, mantenendo così l'indipendenza di Via Nazionale dalle pressioni politiche. Infine, si legge ancora nel rapporto, «è necessario modificare le norme che disciplinano la struttura proprietaria per chiarire che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della banca riveniente dal signoraggio», che deriva esclusivamente dalla funzione pubblica di emissione delle banconote. «Il modo più ovvio per ridurre la concentrazione dei partecipanti - scrivono gli esperti - consiste nell'introduzione di un limite massimo alla percentuale di quote detenibili da ciascun soggetto, ampliando allo stesso tempo la base azionaria. A tal fine, le quote dovrebbero essere facilmente trasferibili e in grado di attrarre potenziali acquirenti (investitori istituzionali)».

Per raggiungere simili obiettivi è dunque necessario calcolare il valore corrente delle quote, aumentare il valore del capitale della banca centrale, oggi puramente simbolico (156mila euro fissato nel 1936, 300 milioni di lire di allora) e attribuire ai partecipanti un flusso futuro di dividendi. «Per essere equa - continuano gli esperti - la riforma non deve incidere sul valore delle quote dei partecipanti. Questo risultato dipende dal valore del capitale della banca e dal tasso di dividendo adottato nel nuovo regime. Le nostre analisi mostrano che nelle attuali condizioni di mercato, qualora il capitale della banca venisse aumentato a 6-7 miliardi di euro e considerando un tasso di dividendo del 6% (360 o 420 milioni di termini assoluti), il valore delle azioni dopo la riforma si collocherebbe all'interno dell'intervallo 5-7,5 miliardi».

La riforma non modificherebbe i diritti economici dei partecipanti, garantendo un flusso futuro di dividendi il cui valore attuale nette è pari al valore corrente stimato delle azioni della Banca. Così la rivalutazione delle quote in Bankitalia, inserita nella legge di stabilità, permetterà quindi alle banche di rafforzare il patrimonio e di aumentare l'utile, portando nuovo gettito all'Erario.

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