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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2013 alle ore 16:40.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2013 alle ore 17:00.

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Ci sono voluti tre anni di austerity, sette manovre finanziarie "lacrime e sangue" e la dura presa d'atto che la Tigre celtica era poco più di un'illusione, ma ora l'Irlanda vede davvero la via d'uscita dalla grave crisi finanziaria che, a fine 2010, la costrinse a chiedere 67,5 miliardi di aiuti internazionali.

La settimana scorsa Dublino ha incassato l'ultima promozione della troika: gli ispettori di Comissione europea, Bce e Fmi, alla loro dodicesima missione, hanno certificato che tutti gli obiettivi di risanamento concordati in cambio degli aiuti sono stati raggiunti. Il governo di Enda Kenny, perciò, il 15 dicembre prossimo sarà il primo Paese "salvato" a uscire dall'ombrello internazionale, anche se ancora non è chiaro se l'uscita sarà senza rete – cioè se Dublino riprendera a finanziarsi in maniera del tutto autonoma sui mercati obbligazionari – oppure se ci sarà ancora una linea di credito precauzionale a fare da salvagente.

Su questa misura il ministro delle Finanze Michael Noonan sta trattando con le istituzioni internazionali: quello che il governo vuole evitare è che questa eventualità sia accompagnata da nuove, troppo onerose condizioni. Alla base della "success story" irlandese ci sono diversi fattori.

Un rigoroso percorso di risanamento
Dallo scoppio della crisi l'Irlanda ha varato ben sette manovre finanziarie, costate ai cittadini – tra tagli e nuove tasse – oltre 30 miliardi. In questo modo i conti sono stati quasi risanati: il deficit è passato dal 30,6% del 2010 – che teneva tuttavia conto dei pesanti salvataggi bancari – al 7,4% di quest'anno e dovrebbe scendere sotto il 3% nel 2015, ma la crescita non è stata azzerata, anche se, dopo il +2,2% del 2011, l'anno scorso è stata appena dello 0,2% e sarà dello 0,3% quest'anno. E il prezzo "sociale" di questa austerity è stato tutto sommato contenuto rispetto ad altri Paesi, come Grecia e Portogallo. Il governo di centrosinistra, insomma, è stato sufficientemente abile a distribuire i tagli in modo da renderli digeribili.

Il traino dell'export
Anche negli anni più bui della crisi le esportazioni irlandesi non si sono fermate: +6,4% la crescita annua nel 2011, +5,4% nel 2012, +1,6% l'anno scorso. Un'economia piccola ma fortemente export oriented come quella irlandese, dove tra l'altro operano numerose multinazionali, ha dunque subito in maniera molto meno marcata di altre il contraccolpo dell'austerity su consumi e domanda interna. Il rovescio della medaglia è, ovviamente, la vulnerabilità di un modello di questo tipo a fattori esterni – in primis il rallentamento globale dell'economia – come dimostra la frenata prevista per quest'anno (+0,5% le ultime previsioni di crescita delle esportazioni per il 2013 fatte dalla Commissione Ue).

Un fisco vantaggioso
Uno dei fattori di massima attrattività dell'Irlanda rimane il sistema fiscale, che ha continuato a garantire l'afflusso in questi anni di investimenti diretti esteri e la presenza di numerosi colossi dell'hi-tech, come Google, Twitter, Intel, PayPal, che hanno scelto Dublino come quartier generale internazionale. Punto di forza, difeso finora con i denti dall'Irlanda contro i malumori dei partner europei, è la coroporate tax, scesa al 12,5% nell'ultimo decennio. Il primo, più trasparente vantaggio per i colossi basati a Dublino è che, se possono dimostrare che i profitti derivano dalle operazioni in Irlanda, ottengono la favorevole corporate tax irlandese. Tuttavia, grazie ad accorgimenti più sofisticati che combinano il regime irlandese con le scappatoie consentite dalla legislazione statunitense, le multinazionali possono sottrarre del tutto una parte consistente dei profitti al fisco.

Competitività in aumento
Negli anni ruggenti dell'espansione economica irlandese il costo del lavoro era cresciuto a ritmi superiori alla media europea; dallo scoppio della bolla immobiliare, inizio della crisi bancaria e del tracollo del Paese, si è assistito invece a un progressivo declino del costo del lavoro unitario, parallelo al drammatico aumento della disoccupazione (che tuttavia, dà segnali di miglioramento, con il tasso annuale che dovrebbe scendere quest'anno al 13,3%). Il fattore principale della competitività dell'Irlanda (15esima al mondo nell'ultima classifica Doing Business della Banca mondiale) rimane il fisco, ma anche il calo del costo del lavoro ha il suo peso, unito a una manodopera altamente qualificata e anglofona.

La gestione della crisi bancaria e immobiliare
La troika, nella sua ultima pagella, nota che il risanamento del settore finanziario procede, sebbene resti ancora elevata la percentuale di prestiti a rischio (i non performing loans). Tra le iniziative per fronteggiare l'emergenza ci fu anche, nel dicembre 2009, la creazione della Nama (National Asset Management Agency), una "bad bank" pubblica per iniettare liquidità nelle banche, cancellando dai loro bilanci asset e crediti problematici: in pratica acquistando - a prezzi scontati, 32 miliardi di euro contro un valore nominale di oltre 74 - edifici invenduti e prestiti per finanziare lo sviluppo di aree e terreni fabbricabili. Asset che poi, in questi anni, la Nama sta gradualmente collocando sul mercato. «I risultati ottenuti dall'Agenzia – ha dichiarato al Sole 24 Ore l'estate scorsa il ceo della Nama Brendan McDonagh - hanno ricevuto riconoscimenti internazionali, ma la Nama all'inizio non era sostenuta o approvata da tutti. Ora altre giurisdizioni stanno prendendo in considerazione strutture simili alla nostra».

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