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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2013 alle ore 13:52.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2013 alle ore 18:19.

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(LaPresse)(LaPresse)

di Simone Di Meo

L'antefatto di ieri: il derby Salernitana-Nocerina di Lega Pro viene sospeso dopo appena venti minuti perché la squadra ospite è rimasta in inferiorità numerica. Cinque giocatori si sono infortunati in rapida successione e non è possibile effettuare alcuna sostituzione perché, già dai primissimi istanti di gioco, tutti i cambi sono stati esauriti per lo stesso motivo. Un'epidemia? Un colpo di sfortuna? Tutt'altro: in realtà, il club di Nocera Inferiore abbandona il campo perché minacciato da un gruppo di 200 criminali (loro si definiscono tifosi) che non hanno potuto seguire la squadra in trasferta dopo il disco rosso deciso dalla prefettura. E, dunque, senza di loro hanno imposto il forfait alla squadra. Che ha ubbidito.

Oggi sono previsti gli interrogatori di atleti e staff tecnico (la dirigenza si è dimessa in massa). Arriveranno i Daspo per la prima trentina di soggetti identificati, arriveranno certamente pure le sanzioni sportive mentre la locale Procura ha già aperto un'inchiesta. Ma lo spaccato salernitano andato in onda ventiquattr'ore fa allo stadio Arechi di Salerno è solo uno dei tanti episodi di un sistema, di un rapporto malato che vede coinvolti club e frange di ultras in Campania. Un campo assai fertile dove le indagini della magistratura hanno fatto e stanno in alcun casi facendo luce su patti inconfessabili, accordi segreti e retroscena degni di un romanzo noir. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ad esempio, dal 2011 sta indagando sui legami che esistono tra scommettitori, calciatori e camorristi affiliati al potente clan D'Alessandro di Castellammare di Stabia. Una delle ultime inchieste vede alla sbarra l'ex direttore sportivo della Juve Stabia Roberto Amodio accusato dai pm Filippelli e Siragusa di aver fatto addirittura picchiare a sangue i suoi stessi giocatori, colpevoli di aver perso una trasferta importante. L'episodio risale al 30 marzo 2009 ed è ricostruito nelle carte giudiziarie: Amodio (che si è sempre professato innocente e come tale dev'essere considerato, visto che si tratta di una ricostruzione accusatoria non ancora vagliata dai giudici) avrebbe ingaggiato un po' di picchiatori, alcuni anche in odore di camorra, per aggredire i calciatori della Juve Stabia a calci, pugni e cinghiate «al duplice scopo di infliggere» loro «una pesante umiliazione» e di «minacciare gli stessi di ulteriori e più gravi rappresaglie in caso di nuove sconfitte».

Il pallone criminale non è però questione che affligge soltanto le serie minori (all'epoca, il club campano militava in Lega Pro) ma anche le più blasonate formazioni del calcio che conta. Dove, anzi, è ancor più forte il rischio di infiltrazioni criminali, soprattutto nel napoletano. Lo hanno raccontato bene, in solitudine, due pentiti del rione Sanità. Il primo a parlarne è stato Emiliano Zapata Misso in riferimento alla ripartizione delle aree di influenza all'interno dello stadio San Paolo di Fuorigrotta: «I gruppi di tifosi che siedono in curva A rispettano regole precise e sono l'espressione dei clan camorristici presenti in città». Ovvero: la stessa assegnazione dei posti a sedere è vincolata a una rigida procedura. «Nessun altro aveva accesso alla curva, se non quelli legati al gruppo della Masseria Cardone, vicini al clan Licciardi, e quelli legati ad Area nord, vicini invece agli scissionisti».

Il «lodo San Paolo» prevede che le faide di camorra non vengano mai trasferite sul campo da gioco. Ma «se qualcuno ci avesse sfidato – ha dichiarato a verbale il pentito – l'avremmo buttato giù dagli spalti». Zapata ha riferito ai pm di sapere per certo che «avvenivano riunioni per decidere le strategie contro gli altri tifosi e che gli scontri venivano pianificati a tavolino». Identico scenario è quello tratteggiato da suo cugino Giuseppe Misso jr che ha chiarito: «Sulla curva vige una vera e propria legge della camorra. Sulla curva A comandava il gruppo del rione Sanità […]. Questi gruppi comandavano sulla curva anche in relazione all'apposizione degli striscioni e all'ingresso di nuovi gruppi di tifosi. A un certo punto, […] mio zio Giuseppe Missi [registrato Misso per un errore all'anagrafe, N.d.R.] impose che il gruppo della Masseria Cardone dovesse uscire dalla curva A per problemi che si erano verificati tra i Misso e i Licciardi. E infatti, la Masseria Cardone si dovette spostare […] nel settore Distinti».

Ancor più diretto è stato un altro collaboratore di giustizia, Maurizio Prestieri a proposito del Calcio Napoli: «Ricordo che le gestioni Ferlaino e Corbelli avevano una sorta di sottomissione al tifo organizzato, nel senso che se i predetti non davano biglietti e pass ricevevano forti contestazioni e minacce con danno per la società. Non mi risulta che ciò accada per la gestione De Laurentiis, che ha sempre impostato la direzione della società con un certo distacco con il tifo organizzato».

Oggi la situazione s'è ulteriormente complicata con la storia dei cori razzisti che, in osservanza alla responsabilità oggettiva, finiscono per ritorcersi contro gli stessi club costringendoli (è accaduto spesso in questa stagione) a giocare a porte chiuse. È l'effetto di quanto deciso lo scorso 4 giugno, quando il Consiglio Federale ha recepito le direttive Uefa in materia di lotta al razzismo. Se prima i club avevano qualche escamotage per evitare pesanti sanzioni (ad esempio l'annuncio attraverso lo speaker dello stadio) ora rispondono anche del comportamento dei propri tifosi. E dopo le curve e gli stadi chiusi, si passa alla penalizzazione in classifica ed alla partita persa a tavolino, fino alla squalifica del campo per due anni.

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