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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2013 alle ore 07:35.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:42.

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In Italia ci sono 24 grandi siti industriali da bonificare: sono i residui di un'archeologia produttiva superata dagli stessi progressi delle imprese. Monsieur de Lapalisse direbbe che l'industria degli anni Cinquanta inquinava molto di più di quella attuale. E che le norme, in Italia addirittura più restrittive che nel resto d'Europa, hanno accompagnato fuori dal mercato intere produzioni e processi produttivi.

Oggi i 24 grandi siti industriali da bonificare sono una straordinaria occasione per il Paese. Un'opportunità di investimento che consentirebbe di cambiare anche il volto di territori molto provati da presenze produttive a lungo ingombranti. Solo per fare un esempio, il più macroscopico e attuale, per la bonifica e riconversione dell'Ilva di Taranto saranno investiti circa quattro miliardi di euro. Si tratta dell'investimento più imponente nel Mezzogiorno dopo la costruzione dello stabilimento Fiat a Melfi.
Tutto facile? Tutto semplice? Tutto scontato? Nient'affatto. Anche quando ci sono i capitali privati gli ostacoli non mancano. Il caso di Porto Torres che raccontiamo negli articoli accanto lo dimostra in maniera plastica. C'è un'opposizione aprioristica, immotivata e irrazionale a ogni progetto. Viene il sospetto che se anche qualcuno proponesse un insediamento di rose e fiori, ci sarebbe un comitato pronto a sostenere che puzza. Una logica strisciante di cultura anti-industriale che non giova alla crescita e al Paese.

Il progetto di Porto Torres prevede il coinvolgimento orizzontale del territorio, il recupero di scarti e residui delle lavorazioni, una produzione di chimica verde all'avanguardia frutto di brevetti e ricerca italiani. Il problema sarebbe la centrale a biomasse che, utilizzando gli scarti, abbatterebbe il costo dell'energia. Paradossalmente quanto di più in linea con i principi di produzione ecologica seguiti in tutto il mondo.
Urge un cambio di rotta. A meno che l'Italia non scelga scientemente di diventare una Disneyland del Mediterraneo, senza industria, ritagliandosi un futuro di retroguardia.

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