Google alla guerra delle tasse: ecco perché può dribblare il fisco e continuare a vivere felice
Apple sotto inchiesta, Google, Amazon e Facebook nel mirino del fisco di mezza Europa con l'accusa di aver creato un sistema perfetto (e a prova di legge) di elusione fiscale. Se acquistiamo un Nexus 5 quanto verserà Google al fisco italiano?
di Alberto Magnani e Alberto Annicchiarico
7. Google alla guerra delle tasse/Molto rumore per nulla? la Google Tax in Italia
I big di internet devono pagare le tasse «dove realizzano profitti. E non dove vogliono». Il deputato Pd Francesco Boccia riassume così quella che è ormai nota come Google Tax, proposta di legge sulla vendita di servizi online (presentata come emendamento alla legge di Stabilità) che punta a spremere più tasse dai colossi del web.
Il problema è conosciuto: le filiali dei big dell'hi-tech nordamericani vendono e incassano introiti pubblicitari in Italia, salvo pagare le tasse in Irlanda, procurandosi un vantaggio enorme in termini di risparmi effettivi sui carichi fiscali.
La proposta stabilisce che servizi e prodotti commercializzati possano essere venduti online solo da soggetti che hanno regolarmente aperto una partita Iva. «Segno – spiega al sole 24 Ore Raffaele Rizzardi, componente del Comitato fiscale europeo - che chi ha scritto la proposta ignora che la partita Iva non significa dover versare imposta sul reddito in quanto, come stabilito dal regolamento 282/2011 dell'Unione europea, la partita Iva stessa non vale come presunzione di stabile organizzazione. In sostanza, sarebbero obbligati a versare l'Iva mica a essere tassati sui redditi».
Ma c'è una cosa più interessante da ricordare, riguardo all'iniziativa di Boccia. «L'apertura della partita Iva può essere disciplinata solo dalla direttiva comunitaria. In caso contrario si aprirebbe una procedura di infrazione, con ritiro della norma nazionale o un procedimento dinanzi alla Corte di Giustizia», avverte Rizzardi.
Boccia, in ogni caso, non si sbilancia su una previsione specifica di gettito, ma fonti interne hanno parlato di un miliardo e mezzo di euro. Secondo altre stime, non si andrebbe oltre i 300 milioni. Comunque non proprio noccioline, considerando che la sede milanese di Facebook ha versato all'erario poco più di 192 mila euro nel 2012.
Il Movimento 5 Stelle si è spaccato sulla proposta, tra Beppe Grillo che la stronca come "illegale" e 78 suoi deputati che hanno votato a favore durante l'approvazione della delega fiscale. L'American Chamber of Commerce in Italy ha denunciato il rischio di sbandate "protezioniste" e la violazione di trattati e norme europee sul libero scambio delle merci. «La proposta – si legge nella nota della sede italiana della Confindustria statunitense - nasconde una volontà punitiva nei confronti delle imprese coinvolte e rappresenta un freno all'espansione dell'economia digitale in Italia che, secondo un recente rapporto di Assintel, vale il 3,1% del Pil nazionale».
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