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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2013 alle ore 17:10.
L'ultima modifica è del 18 novembre 2013 alle ore 10:50.
Il rapporto Giarda
Archiviati in fretta i conati federalisti, l'arrivo a Palazzo Chigi di Mario Monti ha riportato al centro della scena uno dei massimi conoscitori della spesa pubblica italiana come Piero Giarda, presidente della commissione tecnica sulla spesa pubblica dal 1986 al 1995 e sottosegretario al Tesoro dal 1995 al 2001. Ufficialmente Giarda è ministro dei Rapporti con il Parlamento, ma il suo primo compito è quello di rimettere mano alle coordinate operative per frenare la spesa pubblica. Nel suo rapporto, della primavera 2012, Giarda scrive che la «spesa aggredibile» vale 295 miliardi all'anno, e che il primo obiettivo è quello di fermarne l'avanzata in termini nominali con tre «R»: riduci, riorganizza e restringi.
Il primo «super-commissario»
La cura-Giarda, però, non sembra bastare a un Governo in ansiosa attesa di misure forti, da comunicare in fretta all'Europa e a un'opinione pubblica scaldata dagli aumenti di tasse. Monti chiama così Enrico Bondi, un passato da «risanatore» in aziende complicate come Montedison e Parmalat, e con lui crea la figura del commissario alla spending review. Bondi, da par suo, passa le giornate in ufficio, spulcia dati e analisi, e dopo qualche settimana inonda il Parlamento con le tabelle degli «sprechi» di ogni amministrazione pubblica, dal più grande ministero al più piccolo Comune. Come li ha calcolati? Semplice: ha analizzato la spesa per «consumi intermedi», cioè il costo del funzionamento di ogni ufficio pubblico, confrontandola con degli standard calcolati insieme all'Istat: tutte le spese che superano la media, sono «sprechi».
Semplice a dirsi, difficile a farsi: dalle tabelle della relazione emergono dati curiosi, come quello che individua nel Comune di Milano «sprechi» maggiori rispetto a quelli accumulati da tutti gli enti territoriali della Campania, e si infiamma il dibattito. Il problema, in sintesi, nasce dal fatto che nei bilanci locali i «consumi intermedi» non abbracciano solo le spese di funzionamento (affitti, acquisti, bollette e così via) ma anche quelle per servizi importanti come il trasporto pubblico e i rifiuti. Chi fa più servizi spende di più, e viene castigato dal nuovo metodo. Risultato, le sforbiciate della spending review si trasformano in tagli più o meno indifferenziati, che spesso colpiscono le amministrazioni più attive, e qualche Provincia riesce addirittura a farsele azzerare dai Tar.
Le società partecipate
Non va meglio all'altro corno della spending review, quello che intendeva agire di machete fra le migliaia di società partecipate dall'amministrazione pubblica, Comuni in primis. Le manovre di finanza pubblica che si sono succedute dall'estate del 2010, e che sono state riprese e rafforzate dal decreto Monti di metà 2012, promettevano di tutto: azzeramento delle partecipazioni nei quasi 8mila Comuni con meno di 30mila abitanti, e privatizzazione di tutte le società "strumentali", cioè quelle che offrono servizi non ai cittadini ma alle stesse pubbliche amministrazioni. Tra deroghe, proroghe e semplice disinteresse per l'attuazione delle norme, a più di tre anni dai primi tentativi le società pubbliche sono ancora tutte in piedi. E saranno, c'è da scommetterci, uno dei primi capitoli nel tentativo di Cottarelli.
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