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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2013 alle ore 13:58.
L'ultima modifica è del 24 novembre 2013 alle ore 14:02.

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Il primo passo è fatto: non è la fine del negoziato nucleare di Ginevra con l'Iran ma l'inizio di un processo che segna una svolta storica nelle relazioni internazionali e in Medio Oriente. E' anche il primo accordo - sia pure nel formato multilaterale del Cinque più Uno - tra Teheran e Washington, divise da oltre tre decenni di inconcilibile ostilità, cominciate con il sequestro degli ostaggi all'ambasciata americana nel 1979 all'indomani della rivoluzione di Khomeini contro lo Shah.

Il procedimento di arricchimento dell'uranio iraniano, assai temuto perché potrebbe portare la repubblica islamica in breve tempo all'atomica, viene congelato per sei mesi in cambio di un alleggerimento delle sanzioni. L'Iran si è impegnato a interrompere l'arricchimento dell'uranio sopra il 5%, a non aggiungere altre centrifughe, a neutralizzare le sue riserve di uranio arricchito al 20% e fermare la costruzione del reattore ad acqua pesante di Arak, mentre le maggiori potenze non imporranno sanzioni a Teheran nel prossimo semestre. L'Iran in cambio ottiene l'accesso a 4,2 miliardi di dollari bloccati nelle banche asiatiche per le sanzioni.

Il riconoscimento del diritto all'arricchimento dell'uranio per usi civili non è un regalo, come sostengono gli israeliani che hanno subito reagito negativamente con una dichiarazione del premier Benjamin Netanyahu: è contenuto nell Trattato non proliferazione (Tnp) firmato da Teheran insieme al protocollo aggiuntivo. Ma Israele, come pure altre potenze nucleari, Pakistan e India, questo trattato non l'hanno mai sottoscritto.

In realtà per monitorare il rispetto dell'accordo di Ginevra saranno decisivi i controlli sugli impianti nucleari da parte della comunità internazionale e degli ispettori dell'Aiea, l'Agenzia atomica: perché è proprio aggirando le regole e occultando gli impianti che l'Iran si era procurato già un decennio fa la capacità tecnologica di costruire carburante per l'atomica.

L'intesa rappresenta comunque la fine di una sorta di Guerra Fredda che ha paralizzato per anni ogni tentativo di cambiare il volto del Medio Oriente. L'Iran è una potenza regionale di primo piano e l'influenza della repubblica islamica sciita si esercita su un vasto quadrante che va da Libano alla Siria, dall'Iraq al Golfo, fino all'Afghanistan. E' un'intesa accolta con sollievo dal presidente americano Barack Obama, che ottiene un successo internazionale dopo essere uscito con le ossa rotte dalla crisi siriana, dal presidente iraniano Hassan Rohani, esponente dell'ala moderata e pragmatica costantemente nel mirino dei "falchi" di Teheran come i Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione. Le reazioni dei "duri e puri" del regime iraniano, contrari ai compromessi con l'Occidente, saranno assai importanti per capire se Rohani riuscirà a difendere l'accordo e a imboccare la strada delle riforme interne.

Ma questa intesa è vista con preoccupazione dai rivali dell'Iran in Medio Oriente, "Era un cattivo accordo e resta un cattivo accordo", è stato il primo commento da Israele. Le reazioni rabbiose dell'Arabia Saudita erano venute prima ancora che si fosse asciugato l'inchiostro delle firme: "L'Arabia Saudita non resterà pigramente a guardare se le grandi potenze non riusciranno a fermare il programma nucleare iraniano", ha dichiarato il principe Nawaz bin Abdulaziz, nipote di re Abdullah e ambasciatore di Riad a Londra, spiegando che l'Arabia Saudita, culla dell'interpretazione più severa dell'Islam sunnita (il wahabismo), "penserà a come meglio difendere il proprio Paese e la regione".

L'ambasciatore ha definito "incomprensibile" la fretta con cui l'amministrazione Obama sta correndo ad abbracciare le offerte di Teheran. Dimenticando che questo negoziato è inziato dieci anni fa, nel 2003, poco tempo dopo che venne scoperto a Natanz un impianto segreto iraniano per l'arricchimento dell'uranio.

I sauditi e gli israeliani, che si ritengono gli alleati di ferro degli Stati Uniti nella regione, pensano che l'avvicinamento americano a Teheran possa rappresentare un cambio epocale di strategia. I sauditi, portabandiera del sunnismo, sono in forte tensione con l'Iran e appoggiando l'opposizione armata jihadista e salafita combattono in Siria una sorta di guerra per procura contro la repubblica islamica degli ayatollah.

Certamente si aprono nuove prospettive anche per la Siria, dove l'Iran, insieme alla Russia, sostiene Bashar Assad. Gli iraniani adesso potrebbero essere più interessati a una soluzione negoziata della guerra civile. Il rischio però è di correre troppo avanti con gli scenari: ma non c'è dubbio che si tratta di un passo fondamentale per costruire quella fiducia che non c'è mai stata tra l'Iran e la comunità internazionale. Con questo accordo Teheran torna sulla scena: riportarla ai margini sarebbe un grave errore da parte di chiunque, dentro e fuori l'Iran.

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