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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2013 alle ore 15:02.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2013 alle ore 15:18.

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La Convenzione del Pd ha dato il via alle primarie e ora la corsa si fa più dura. Ogni giorno fino alla data fatidica dell'8 dicembre sarà un susseguirsi di annunci e di bordate senza esclusione di colpi bassi anche al Governo. I primi segnali arrivano dagli inviti a Enrico Letta a "usare le idee del Pd", ad accelerare sulla riforma elettorale per andare subito al voto o da quel "Basta alibi" ripetuto domenica all'Ergife di Roma. Ma dentro questo tormentone e nonostante la grande visibilità mediatica, Renzi, Cuperlo e Civati sanno di "essere fuorigioco"? Non solo loro, ma tutto il Pd è finito da tempo e per due volte fuorigioco. La prima quando ha rifiutato di accettare la strada della leadership forte per vincere le elezioni; la seconda, quando si è lasciato contagiare dal virus della "personalizzazione" che ha lentamente, ma in modo inesorabile, contagiato tutta l'organizzazione con le manifestazioni più nocive rappresentate dal microvoto e dai micronotabili.

La diagnosi lucida, quanto spietata, è formulata da Mauro Calise, politologo e docente all'Università di Napoli Federico II. Il suo nuovo saggio, appena uscito da Laterza, s'intitola "Fuorigioco" (Laterza, pagg. 156, euro 12) e analizza i comportamenti e le decisioni della sinistra negli ultimi anni. Scelte che non hanno avuto soltanto una immediata e destabilizzante ricaduta all'interno del partito distruggendolo e facendo incassare a Bersani il suo personale insuccesso di fine partita; ma, fatto ancora più grave, le vicende del Pd hanno condizionato negativamente l'evoluzione del paese, lo "hanno messo in ginocchio" scrive Calise. Un'altra storia avrebbe potuto vivere l'Italia se solo ci fosse stata un'altra sinistra, aperta alla modernizzazione e con un leader forte. Ha preferito conservare la vecchia logica dei partiti collettivi di un'Europa che non c'è più. Ora si pagano i conti e il saldo deve ancora arrivare. Valter Veltroni, a suo tempo, era uscito con una immagine efficace: "Abbiamo sbagliato un rigore a porta vuota". Un errore che porta il nome di tutti, Bersani, Letta, Bindi, Franceschini, D'Alema. "Non era dall'ascesa del leader – aggiunge Calise – che ci si doveva difendere. Era nel corpo vivo del partito che si stava verificando la vera mutazione genetica, quella che avrebbe trasformato l'antica oligarchia del comando e del centralismo democratico in un'armata – poco gioiosa e molto disorganizzata – di micronotabili".

Il Pd è rimasto l'unico partito "impersonale", un partito senza qualità. C'è un futuro? Forse. Dipende da quanto la sinistra saprà usare i tempi supplementari concessi da un Pdl in gravi difficoltà e da un Movimento 5 Stelle a metà del guado tra protesta e governo. Un percorso non facile perché i micronotabili pesano molto. E cambiare cultura non è semplice. L'auspicio di Calise è che nel paese dove Berlusconi e Grillo hanno saputo inventare nuove tipologie di partito, la sinistra sappia fondare una "cosa nuova". Accadrà? Una severa risposta arriva da Walter Tocci, senatore Pd, che ha scritto "Sulle orme del gambero" (Donzelli, pagg. 266, euro18,50) in cui mette a fuoco ragioni, passioni ed errori della sinistra in modo autocritico da militante di lunga data e in modo ben documentato da uomo che ha operato nelle istituzioni. Scrive Tocci: "La vera discontinuità con la storia nazionale è l'attuale centrosinistra, che a parole si è fatto erede delle tradizioni popolari della Prima Repubblica, ma nei fatti costituisce un riformismo senza popolo. Nei casi migliori ha proposto buoni sentimenti… Ha perso il contatto con i luoghi della trasformazione. Il naufragio si è consumato soprattutto nei ceti popolari". Vale a dire, strada tutta in salita.

Mauro Calise, "Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader", Laterza, Roma-Bari 2013, pagg. 156, euro 12,00

Walter Tocci, "Sulle orme del gambero. Ragioni e passioni della sinistra", Donzelli, Roma 2013, pagg. 266, euro 18,50

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