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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2013 alle ore 11:42.

Tra decisioni estemporanee della Fifa in materia di fasce e fascette ancora tutta da interpretare e appelli a voce grossa per convocazioni più o meno legittime e necessarie, il commissario tecnico della Nazionale, Cesare Prandelli, ha deciso di proporre una pausa. Meglio, un time out. L'idea è stata lanciata dal timoniere azzurro in un incontro ufficiale con i giornalisti che si è tenuto ieri nei locali dell'Associazione stampa estera a Roma. «Avremo due problemi grandi in Brasile: caldo e umidità che rischiano in città tipo Fortaleza e Manaus di condizionare le gare. Lo abbiamo sperimentato in Confederations. Prima dei corner, tutti a bere. Forse meglio fermarsi due minuti e consentire di dissetarsi». Prandelli dixit.
Si fa presto a dire time out. È una consuetudine, l'interruzione del gioco richiesta dal tecnico di una delle due squadre in campo, prevista da tempo nella pallacanestro, nella pallavolo, nel baseball, nel football americano, ma pure nel cricket, nell'hockey su ghiaccio, nella pallamano e, guarda un po', pure nel calcio a 5. Il calcio a 11, invece, proprio no, non è mai voluto sapere. E dire che nel recente passato si sono spesi a favore del time out personalità di primo piano del pallone internazionale. Come Gerhard Aigner, dal 1989 al 1999 segretario generale dell'Uefa. Sosteneva uno dei massimi dirigenti del calcio europeo nel gennaio del 1995: «L'Uefa proporrà in tempi brevi l'introduzione di un'interruzione di gioco per tempo nelle partite. I tecnici avrebbero così la possibilità di comunicare istruzioni alla loro squadra. In cambio, durante lo svolgimento del gioco, sarebbero costretti a restare seduti in panchina. Questa idea è già in vigore in altre discipline sportive e una proposta simile era stata discussa prima del Mondiale statunitense».
Aigner era convinto che il time out potesse sconfiggere una volta per tutte i comportamenti spesso fuori dalle righe degli allenatori nel corso delle partite («incitano i giocatori e i tifosi ad atteggiamenti antisportivi e si moltiplicano i casi di tecnici che si insultano dalla panchina. Un brutto spettacolo»). Insomma, roba da codice penale. Da qui, l'idea tutta nuova ma anche no di istituzionalizzare una pausa per consentire ai tecnici di guardare negli occhi i propri atleti senza dare spettacolo a due passi dal terreno di gioco. Già, ma c'era di più. Sì, perché nel calcio nulla avviene per caso. «Un'interruzione del gioco rappresenterebbe un'occasione ideale di piazzare pubblicità durante trasmissioni tv in diretta», l'ammissione di Aigner. «Questa conseguenza non sarebbe insignificante, considerato che per queste trasmissioni in diretta le reti televisive pagano ingenti somme e rischiano di trovarsi in difficoltà finanziarie». Svelato l'arcano.
Con il time out l'Uefa voleva mettere insieme le necessità del campo con le gioie del portafogli. Peccato che la Fifa, dopo lunghe riflessioni e sperimenti più o meno convincenti, disse no. E fine delle discussioni.
Passano gli anni, cambiano le logiche e le ragioni del calcio, non cambia l'approccio ultraconservatore del massimo organismo pallonaro del pianeta. Che accenna ma non conclude, apre ma non rivoluziona. È andata così per almeno un paio di lustri a proposito dell'introduzione della moviola durante le partite, potrebbe capitare lo stesso per il time out. Nel maggio scorso, il direttivo della Fifpro, il sindacato internazionale dei calciatori professionisti, aveva chiesto lo spostamento delle partite del Mondiale a orari meno critici. Perché il Brasile è grande quanto l'intera Europa e i viaggi da uno stadio all'altro non sono da prendere sottogamba. E poi perché da quelle parti - vedi Manaus, Recife, Brasilia - può fare così caldo da non riuscire a respirare.
La risposta della Fifa? Apertura per brevi interruzioni decise dagli arbitri per permettere ai giocatori di dissetarsi, nulla più. Con tanto di decisione definitiva rimandata a data da destinarsi. Prandelli però non ha più intenzione di aspettare e l'ha fatto capire con un affondo dei suoi. La strategia del ct azzurro è chiara: dare forma a un accerchiamento da sfida all'Ok Corral e vinca il migliore. «Se l'intenzione è quella di regalare un grande spettacolo, allora bisogna mettere i giocatori in condizioni di poterlo fare. È una richiesta che penso possano fare anche le altre federazioni». L'Italia si espone e rimane alla finestra nell'attesa di risposte di segno positivo. Che presto o tardi arriveranno, ormai è più che una speranza.
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