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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2013 alle ore 22:09.
L'ultima modifica è del 05 dicembre 2013 alle ore 22:19.

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Ancora tu. Stralciata al Senato la cosiddetta Web tax (o Google tax) - che vede come primo firmatario il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia - torna a fare capolino tra le pieghe della legge di Stabilità a Montecitorio. Come ha confermato lo stesso Boccia, la proposta è tra gli emendamenti (3.300 in tutto) presentati entro il termine delle 16 di oggi.

Secondo il deputato del Pd la Web tax (che prevede l'obbligo, per chi acquista servizi online, di farlo solo da società con partita Iva italiana), rientrerebbe fra le proposte che «intercettano l'assenso della gran parte dei gruppi», insieme alla Tobin tax (tassazione delle transazione finanziaria) rivisitata.

Per quanto riguarda la Web tax, ha assicurato Boccia in una nota, «i servizi online produrranno finalmente valore aggiunto anche in Italia, perché non é più accettabile che le multinazionali del web eludano integralmente il sistema fiscale nazionale pur operando a tempo pieno, e muovendo centinaia di milioni di euro, sul nostro territorio».

È un tema rovente, oggetto di dibattito e in piena evoluzione a livello di G-20, Ocse e Unione europea, tornato in primo piano oggi con il nuovo dato sulle tasse pagate da Facebook in Irlanda nel 2012: 1,9 milioni di euro a fronte di utili lordi per 1,75 miliardi.

La questione sembra potere essere affrontata soltanto attraverso accordi internazionali. La Commissione Ue ha già fatto sapere, in maniera informale, che un provvedimento come quello congegnato da Boccia e dai suoi collaboratori potrebbe andare incontro, come minimo, a una procedura di infrazione. L'apertura della partita Iva, infatti, può essere disciplinata solo dalla direttiva comunitaria.

Dubbi sulla praticabilità della proposta sono stati sollevati anche da diversi esponenti dello stesso partito di Boccia. Al punto che il provvedimento, come detto, non è stato inserito nel maxiemendamento sulla legge di Stabilità, al Senato. Tra gli altri grandi partiti, Forza Italia è contraria mentre il Movimento 5 Stelle si è diviso fra deputati favorevoli e il leader Beppe Grillo, decisamente contrario.

«Il tema è vero, ma la sostanza della soluzione è sbagliata - commenta Antonio Palmieri, deputato della commissione cultura e responsabile internet di Forza Italia - perché in materia di Iva serve un concerto in sede Ue. Nel 2011 proponemmo proprio noi del Pdl di inserire nell'Agenda digitale un'armonizzazione dell'Iva al 4%, ma il governo Monti ci rispose, appunto, che era materia europea».

Non solo. «Un provvedimento del genere - aggiunge Palmieri sottolineando che bisognerà comunque vedere se l'emendamento sarà dichiarato ammissibile in commissione - contraddice uno degli obbiettivi di Destinazione Italia», il piano fortemente voluto dal premier Enrico Letta che punta ad attrarre investimenti esteri e a favorire il rilancio della competitività. Che messaggio si darebbe con la Web tax? «Il solito, ovvero che l'Italia tartassa le imprese. Mi piacerebbe sapere che ne pensa mister Agenda digitale, Francesco Caio», conclude Palmieri.

Contro la Web tax si è levata forte nelle scorse settimane la voce della American Chamber of Commerce in Italy, secondo cui si rischia di « violare il principio di libero scambio di beni e servizi all'interno del Mercato Unico Europeo». Premesso che «le attività di business debbano rispettare completamente la legislazione sull'Iva», la tesi dei rappresentanti della "Confindustria" Usa in Italia è che « l'emendamento proposto potrebbe imporre un ulteriore carico fiscale sui fornitori di servizi online, scoraggiando le imprese straniere». Proprio ora che Eric Schmidt di Google, per esempio, ha manifestato un forte interesse a investire nel Belpaese.

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