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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2013 alle ore 19:41.
L'ultima modifica è del 06 dicembre 2013 alle ore 08:43.

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Tasse per 1,9 milioni di euro a fronte di un volume d'affari da 1,7 miliardi. Torna a fare discutere il meccanismo di elusione fiscale noto come Double Irish. Questa volta, scrive il Financial Times, tocca a Facebook finire sotto la lente dei critici più feroci, a ragione, di un sistema fiscale groviera, che consente lecitamente a multinazionali statunitensi - non solo i giganti del web come Facebook, Google, Amazon o Apple - di versare soltanto un obolo anche se fanno profitti miliardari.

Ne ha parlato diffusamente anche il Sole 24 Ore di recente, quando si è chiesto se e quanto possa pagare di tasse Google quando vende il suo nuovo Smartphone, il Nexus 5, in Italia come nel resto della Ue. Un oggetto concreto, non pubblicità online, merce tipicamente da Over-the-top. "Perfino zero euro", ha spiegato un esperto. Anche nel caso di Big G, come in quello di Facebook e di tutte le altre, il gioco è perfettamente lecito.

Perché? Risposta semplice: non esiste ancora nell'Ue (anche se il commissario alla fiscalità e unione doganale, Algirdas Semeta, sta lavorando a una stretta) una regola che vieti alle multinazionali extraeuropee di installarsi in un Paese a fiscalità agevolata come l'Irlanda (dove già la corporate tax è solo del 12,5%) con due filiali: la prima, residente anche fiscalmente nella terra dei Celti, paga royalties alla seconda, che ha base sempre in Irlanda ma non vi risiede fiscalmente.

Questo consente alla prima società di presentare bilanci leggeri e pagare tasse in misura risibile rispetto all'effettivo volume d'affari. La controllante della seconda società ha generalmente sede in un paradiso fiscale ai Caraibi ed evita così di fare contento il fisco irlandese.

Facebook Ireland Limited, è emerso di recente dal bilancio depositato, nel 2012 ha generato utili lordi per 1,75 miliardi di euro. Sfortunatamente per Dublino questi utili sono diventati perdite per 626mila euro nel momento in cui Facebook Ireland Limited ha versato il dovuto a Facebook Holdings Limited così da saldare il "debito" dei diritti per l'uso della piattaforma tecnologica.

Il gioco potrebbe volgere al termine. Sia il G-20 che l'Ocse (oltre all'Unione Europea) stanno moltiplicando le pressioni sull'Irlanda anche perché la crisi mette in difficoltà i budget nazionali e genera crescente risentimento fra i contribuenti europei e non solo. Pesanti critiche sono state mosse anche negli Stati Uniti riguardo alle agevolazioni di cui gode Apple per le stesse ragioni. Tutte le multinazionali coinvolte accumulano veri e proprio tesori. Basti pensare che fino al 2012 i capitali delle società americane all'estero ammontavano a 166 miliardi per le maggiori 60 società americane, pari al 40% dei loro profitti globali.

Naturalmente le società sotto accusa, mentre il governo di Dublino prende tempo e non intende smantellare del tutto il meccanismo che rende appetibili gli investimenti esteri, trovano facile replicare, ancora, che non violano alcuna legge. Anche in questo caso Facebook ha fatto sapere di essere perfettamente a posto con le regole in vigore. «Dublino - ha comunicato il colosso dei social network con sede a Menlo Park, California - è stata scelta in quanto miglior sede per assumere il personale più qualificato per l'operatività di un'azienda hi-tech e multilingue che offre servizi in Europa». (Al.An.)

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