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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2013 alle ore 06:44.

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Giuseppe Barbanti
Mestre
La difesa del Made in Italy
Caro Direttore,
sono rimasto sconcertato dall'articolo apparso sul giornale da Lei diretto nella giornata di mercoledì 4 dicembre a firma di Lisa Ferrarini, presidente di Assica in cui, nonostante alcune considerazioni condivisibili, si arriva a delle conclusioni fuorvianti che danneggiano l'immagine della agricoltura italiana e forniscono un'informazione distorta al consumatore. Articolo scritto, è bene precisare, come replica alla manifestazione di Coldiretti al Brennero e a Reggio Emilia a difesa del vero made in Italy e in particolare della suinicoltura.
Ha ragione Ferrarini quando afferma che, in un mondo globale, vogliamo attuare norme protezionistiche tout court sulle importazioni, ma si dimentica però che il made in Italy non è stato creato solo dall'industria di trasformazione, ma da tutta la filiera agroalimentare, partendo da un prodotto base sicuro e di qualità non paragonabile a quello degli altri Paesi e passando per gli altri anelli prima di arrivare al consumatore. Gli scandali alimentari appartengono ad altri Paesi – batterio killer e scandali alla diossina –, abbiamo 10 volte i veterinari dei francesi, abbiamo disciplinari che ci impongono razioni alimentari per i suini costose, ma che hanno creato i nostri prosciutti Dop.
Non usiamo giri di parole o frasi ipocrite: i nostri animali da oltre 15 anni sono alimentati anche con prodotti (in particolare la soia) Ogm, ma non per questo la nostra qualità è venuta meno, anzi è sempre migliorata. Le innovazioni che abbiamo introdotto sono servite a migliorare la qualità del prodotto e a cercare di diminuire il deficit di produzione nazionale di cui si lamenta la Ferrarini. Gli agricoltori così come i trasformatori hanno sviluppato la capacità di scegliere i migliori alimenti e la migliori tecnologie per alimentare e far crescere i propri animali. È vero che l'Italia non produce abbastanza alimenti sia per il paese (70% autoproduzione) sia per industria di trasformazione.
Il problema vero è che l'industria di trasformazione vuole vendere a prezzi di made in Italy (20% in più) ma comprare le derrate agricole a prezzi europei: questo è il nocciolo della questione.
Cara presidente Ferrarini e caro Moncalvo, presidente di Coldiretti: il made in Italy è un bene prezioso, che non possiamo pensare di danneggiare per le vostre dispute ideologiche e rappresenta un bene inestimabile e una locomotiva per il Paese. Il made in Italy funziona se tutta la filiera è unita e concorde nel valorizzare questa risorsa.
Occorre fare rete tutti insieme e retribuire in maniera equa tutti gli anelli della filiera. Lotta alla contraffazione e alla concorrenza sleale: due fenomeni tra cui il confine è sottile e spesso non esiste. Etichettatura chiara su chi trasforma e sull'origine della materia prima: il Governo e il ministero delle Politiche agricole devono fissare regole e aiutarci a internazionalizzare le nostre produzioni. Questa è la nostra ricetta.
La sfida dei mercati globali, di un made in Italy sicuro, di qualità, a prezzi concorrenziali la vinciamo o la perdiamo tutti insieme. Il commercio è globale e non servono norme protezionistiche, ma tutti insieme dobbiamo lottare per riconquistare quei 60 miliardi di italian sounding che oggi subiamo, anche per la nostra incapacità di essere presenti in tanti mercati: milioni di persone vogliono mangiare made in Italy e noi dobbiamo fornirglielo.
Antonio Boselli
presidente Confagricoltura Lombardia
Il Sole 24 Ore ha ospitato ieri l'articolo di Lisa Ferrarini, presidente dell'Associazione industriali delle carni e dei salumi, come voce autorevole nel dibattito sulla crisi dell'agroalimentare. Per parte nostra, siamo convinti che la cultura food è una delle grandi risorse inespresse dell'economia italiana e che la strategia di rilancio deve far interagire tra loro tutti i protagonisti della filiera. Per questo, insieme al ruolo indispensabile e prezioso della produzione agricola, occorre anche riconoscere il contributo essenziale dell'industria di trasformazione nel definire l'identità "made in Italy" nel mondo.

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