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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2013 alle ore 06:39.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:03.

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È uno di quei rari casi in cui un leader africano, morendo, non lascia alle spalle il caos né vuoti di successione.Come aveva promesso, Nelson Mandela lasciò la politica nel 1999. Da allora sono passati tre mandati presidenziali.

«Madiba» ha avuto due successori, Thabo Mbeki e Jacob Zuma: l'anno prossimo Zuma sarà molto probabilmente rieletto. Ma per il Sudafrica di oggi Mandela è solo storia? Archeologia della liberazione? Irrealizzabile ideale economico?
«Accettò un cattivo accordo per i neri. L'economia è ancora nelle mani del bianchi: noi ne siamo fuori», diceva Winnie Mandela in un'intervista di qualche anno fa. La diplomazia non è mai stata la qualità migliore della moglie divorziata di Madiba. Ma tornando al punto di partenza dell'Anc, Winnie non ha del tutto torto. Nel 1990 il programma economico dell'Anc prevedeva una "Crescita attraverso la redistribuzione", e la nazionalizzazione delle grandi imprese. Ma il mondo stava cambiando ed era stato questo, l'imminente fine del modello sovietico, a spingere gli afrikaners bianchi ad accettare la fine dell'apartheid.

Le cose cambiarono alla fine di gennaio 1992, quando Mandela e F.W.de Klerk furono invitati al World Economic Forum di Davos, accolti come rock star dal capitalismo occidentale. «Ragazzi, dobbiamo scegliere - disse Mandela al vertice dell'Anc una volta tornato a Johannesburg -. O ci teniamo le nazionalizzazioni e non otteniamo gli investimenti. O rinunciamo al nostro atteggiamento e ci teniamo gli investimenti». Passarono altri quattro mesi. Poi l'Anc diffuse un opuscolo di 45 pagine: «Pronti a governare», era il titolo. Per la prima volta sparivano le nazionalizzazioni. L'alleanza con il Partito comunista e il Cosatu, il grande sindacato, restavano e sono ancora oggi fondamentali. Ma l'African National Congress entrava con cautela nel capitalismo.
Non tutte le promesse sono state mantenute da Mandela e dai suoi successori. I bianchi avrebbero dovuto restituire ai neri il 30% delle terre coltivate entro il 1999. Oggi sono solo il 7. La maggioranza nera, l'80% dei 50 milioni di sudafricani, controlla il 17% della capitalizzazione della Borsa di Johannesburg. Aveva ragione Winnie?

Il Sudafrica è uno dei Brics, principalmente per ragioni politiche: fra Brasile, Russia, India e Cina serviva un socio africano. La sua economia è un quarto di quella dell'India: resta l'economia più grande del continente ma non quella che cresce di più. In Nigeria aumenta del 7% l'anno da quasi un decennio. A Johannesburg da tempo si fatica a sfiorare il 3. La difficoltà delle riforme in Sudafrica spinge molte multinazionali a preferire il Kenya e il Ghana per le loro operazioni nel continente.

Il Sudafrica fatica ma l'Africa sta crescendo. Un fenomeno ancora controverso, la distribuzione della nuova ricchezza intacca relativamente i livelli di povertà. Ma cresce. L'African Development Bank parla dell'«emergere di una classe media di 300-500 milioni di persone». Da un paio di decenni, il continente è sempre più democratico e stabile. Anche questa è un'eredità di Mandela.

Da quando ha lasciato la presidenza, Madiba non ha mai usato la sua credibilità per interferire nel lavoro dei successori. Ma ora la sua morte lascia un vuoto morale in cui la gestione di Zuma risplende per mediocrità. Il personaggio più diffuso di questa stagione è il "tenderpreneur", il funzionario pubblico Anc che offre contratti e appalti solo all'imprenditore iscritto all'Anc o suo importante finanziatore. Quest'assenza di distinzione fra politica e affari, una specie di socialismo di ritorno malato, mina l'economia più delle illusioni della Nazione Arcobaleno: la società multirazziale che richiede più di una generazione per realizzarsi. Al funerale di Mandela ci saranno anche i "tenderpreneur" e i loro mentori. Piangeranno, augurandosi che non nascano altri Mandela.

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