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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2013 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 13 dicembre 2013 alle ore 07:31.

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(Corbis)(Corbis)

«Ricompriamo il debito pubblico italiano!» Tra il 2011 e il 2012, quando i titoli di Stato del nostro Paese erano umiliati dalla speculazione internazionale, tanti osservatori erano convinti che per risolvere i problemi bastasse togliere il debito pubblico del Paese dalle mani estere. Ma oggi che nei portafogli italiani si trova circa il 65% degli 1,7 miliardi di euro di titoli di Stato, contro il 50% del 2010, i nodi vengono al pettine.

Le banche della Penisola (che hanno più di 400 miliardi di titoli di Stato italiani in bilancio) e le assicurazioni (che ne hanno circa 200 miliardi in totale) sono infatti prese di mira da agenzie di rating e Autorità proprio perché troppo esposte sul debito del loro Paese. Da un lato Standard & Poor's minaccia di declassare il rating di Generali. Dall'altro la Bce annuncia che terrà in debito conto l'esposizione sui titoli di Stato nei futuri stress test. Le conseguenze di questo dibattito potrebbero essere molto rilevanti.

Patriottismo finanziario
Iniziamo dai numeri. Le banche italiane, come si vede nella grafica, sono le più esposte sui titoli di Stato del nostro Paese: detengono il 23% degli 1,7 miliardi totali. La più "affezionata" al nostro debito pubblico è Intesa Sanpaolo, che al 30 giugno – secondo le elaborazioni di R&S Mediobanca – aveva in pancia 100,2 miliardi di BTp: cifra che corrisponde al 15% del totale attivo del gruppo milanese e a oltre il 200% del suo capitale netto. Ma in termini relativi, altri istituti hanno un'esposizione ben più rilevante. I 29 miliardi di BTp che si trovano nella pancia di Mps, per esempio, rappresentano il 443% del suo capitale netto attuale. I 9,4 miliardi detenuti da Carige (la cifra include solo i BTp pronti alla vendita) corrispondono al 20% del totale attivo e al 243% del capitale. I 5,4 miliardi della Popolare di Sondrio equivalgono invece al 276% del capitale.
Cifre così rilevanti costituiscono un evidente rischio: basta una variazione anche minima del valore dei BTp, che il capitale delle banche può venire significativamente ridotto. E con esso la loro capacità di erogare credito. Insomma: i BTp in bilancio costituiscono un elemento di instabilità per il sistema bancario e per l'intera economia. Stesso discorso per le assicurazioni. Le Generali hanno 55 miliardi di BTp. Se si sommano anche gli altri titoli italiani in bilancio, l'esposizione di Generali sulla Penisola arriva al 24% del totale investimenti. Troppo per Standard & Poor's, che fino ad oggi ha assegnato a Generali un rating più elevato rispetto a quello della Repubblica italiana: in prospettiva potrebbe dunque declassarlo. C'è poi Unipol, che ha 29,6 miliardi (secondo la banca dati di Bloomberg) di BTp. Insieme a Fonsai (15,6 miliardi), la sua esposizione sul Paese è cospicua.

Le conseguenze
Questo accumulo di BTp nei bilanci dei gruppi bancari e assicurativi ha di certo salvato lo Stato nei momenti bui dello «spread», ma ha anche prodotto effetti collaterali non da poco. Innanzitutto, secondo molti, ha contribuito a distogliere le banche dalla loro tradizionale attività: l'erogazione di credito. Comprare BTp con i soldi della Bce era infatti più remunerativo. Inoltre ha creato un'eccessiva concentrazione di rischi: una discesa dei prezzi dei BTp, per qualunque motivo anche esogeno, metterebbe infatti oggi nei guai l'intero sistema bancario e finanziario. E l'intera economia.
Ma il problema più attuale è un altro: le autorità sono intenzionate a soppesare i rischi dei BTp nei bilanci delle banche. Fino ad ora, infatti, i bilanci sono sempre stati scritti nella "finzione" che tutti i titoli dell'area euro fossero uguali e a rischio zero: ma da più parti si preme affinché i rischi derivanti dai titoli di Stato vengano coperti da adeguato capitale. Questo, sperano i fautori della proposta, potrebbe anche indurre le banche a comprare meno BTp e quindi a erogare più credito.

Ma le conseguenze potrebbero essere opposte. Innanzitutto le banche italiane (e spagnole) potrebbero essere obbligate ad aumentare il proprio capitale dopo i prossimi stress test: questo, se il mercato dovesse tornare "freddo" nei confronti dell'Italia, potrebbe non essere facile. Le banche, in caso di difficoltà, sarebbero dunque costrette a ridurre i propri attivi: cioè a limitare ulteriormente le erogazioni di credito all'economia reale.
La seconda conseguenza è che le banche e le assicurazioni potrebbero essere indotte a ridurre i BTp in bilancio. In effetti Generali lo sta già facendo, seppur lentamente, e anche alcune banche hanno iniziato a farlo. Persino la Sace ha intenzione di vendere quasi tutti i BTp che ha in bilancio (circa 3 miliardi). Questo potrebbe premere sulle quotazioni dei BTp, e scatenare proprio quel circolo vizioso che si cerca di evitare. Per ora il mercato è così tonico che niente di tutto questo si vede. Ma non è detto che l'umore dei mercati resti sempre uguale.
m.longo@ilsole24ore.com

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