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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2013 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:09.

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Sono passati due anni da quando l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha assunto formalmente le competenze di regolazione sui servizi idrici, ma nella sostanza il trasferimento dei poteri effettivi è avvenuto da meno di diciotto mesi (con Dpcm del luglio 2012). Un periodo non ancora sufficiente, a dispetto delle gravi urgenze del settore, per mettere a regime le innovazioni introdotte dall'Autorità. Tra queste novità vanno subito ricordati una tariffa più strettamente collegata agli investimenti effettivamente realizzati (smettendo di premiare chi annuncia investimenti senza farli), l'eliminazione graduale di sacche gestionali scollegate dal disegno industriale della legge Galli (gestioni ex Cipe) soprattutto al Sud, una maggiore trasparenza delle tariffe, delle bollette e degli obiettivi di qualità del servizio presenti nei piani economico-finanziari, una maggiore selezione degli investimenti in base all'effettiva relazione con il servizio fornito. Innovazioni appena avviate che andrebbero fortemente accelerate nella loro attuazione.

La valutazione dell'azione dell'Aeeg è tuttavia positiva, nonostante il percorso scelto dal regolatore non sia stato privo di tortuosità, aggiustamenti anche profondi, deviazioni e scarti rispetto all'obiettivo. Pesa l'assenza della politica dopo il referendum del 2011, quando ci sarebbe bisogno di supportare le novità regolatorie con un quadro legislativo più ordinato e più coerente. Bene ha fatto il sottosegretario alle Infrastrutture, Erasmo D'Angelis, che ha la delega per l'acqua, a insistere perché nella legge di stabilità fossero inserite tre segnali importanti: un fondo di garanzia per gli investimenti istituito presso la cassa conguagli, un bonus idrico gratuito di 50 litri per le famiglie indigenti e la garanzia di non staccare il servizio ai morosi incolpevoli.

Non basta, però. Stiamo parlando, infatti, di un settore frammentato come nessun altro: tremila gestioni, una governance debolissima, una confusa ripartizione istituzionale fra centro e periferia con non poche sovrapposizioni di competenze, tariffe fra le più basse d'Europa a fronte di un fabbisogno di investimenti dell'ordine di 65 miliardi (di cui 25 urgentissimi), morosità molto elevata (la stima del 4,5% dell'Autorità è solo sul fatturato), perdite in rete attorno al 30%, sicurezza dell'acqua a rischio in diversi comuni, pesanti multe dell'Unione europea per i ritardi nella depurazione. In questo quadro, la politica stenta, dopo il referendum del 2011, a trovare una strada che tuteli gli esiti referendari ma al tempo stesso faccia ripartire la macchina bloccata dall'incertezza e dalla crisi economica, senza dimenticare una qualità del servizio insufficiente.

Il percorso tracciato dall'Autorità diventa, allora, la strada intorno alla quale ricostruire le condizioni per investire, per gestire con efficienza crescente, per finanziare gli interventi. Qualora invece il Tar Lombardia, chiamato in causa soprattutto da Forum dell'acqua e consumatori, dovesse smontare la costruzione regolatoria dell'Autorità, il rischio sarebbe quello di affossare per sempre il settore e le sue potenzialità. Con buona pace di tutto e di tutti, anche degli auspici di certi referendari convinti che bastino le gestioni pubbliche (con quali risorse?) a garantire la fruibilità a tutti del bene comune acqua.

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