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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2013 alle ore 19:31.

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Sulla divisa dell'ex capo della Squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani, non c'è alcuna macchia. Le accuse di favoreggiamento, falso, abuso d'ufficio e rivelazione di segreto nel processo sui ristoranti della camorra sono infatti evaporate alla lettura della sentenza da parte dei giudici della VII sezione del Tribunale che lo hanno assolto perché il fatto non sussiste.

Il superpoliziotto che, nel giro di un anno, ha arrestato i due latitanti storici del clan dei Casalesi, Antonio Iovine e Michele Zagaria, quest'ultimo ammanettato addirittura quando Pisani era sottoposto alla misura cautelare del divieto di dimora a Napoli, non c'entra nulla, quindi, con la fuga di notizie che aveva allertato il suo amico Marco Iorio, imprenditore del settore della ristorazione ritenuto, dai pm, collegato ai Potenza, storica famiglia di contrabbandieri e usurai del rione Santa Lucia, e per questo indagato per riciclaggio.

Con il verdetto di innocenza di Pisani, che per questo procedimento ha perso la guida della Mobile partenopea per essere trasferito prima allo Sco e da ultimo, proprio un anno fa, al Servizio immigrazione, viene sconfessata anche la portata giudiziaria del pentito Salvatore Lo Russo, un tempo confidente di Pisani e oggi suo implacabile accusatore nelle vesti di collaboratore di giustizia. Lo Russo, padrino della camorra di Secondigliano, aveva dichiarato ai pm di aver addirittura corrotto Pisani con robuste mazzette per tenerlo lontano dagli affari del suo clan. Ma, almeno in questo caso, le improponibili rivelazioni del pentito sono deflagrate prima di raggiungere la fase dibattimentale perché archiviate, su richiesta degli stessi magistrati inquirenti, a processo in corso. Fango, insomma.

Il tassello che riguarda la posizione di Vittorio Pisani fa parte, però, di un più ampio affresco investigativo che ipotizzava l'esistenza di un accordo illecito tra lo stesso Lo Russo e i Potenza per il reimpiego di un milione e mezzo di euro in una catena di ristoranti di proprietà della famiglia Iorio. Ristoranti tra i più famosi di Napoli e della Campania, affacciati sul lungomare di via Caracciolo, con il Castel dell'Ovo e il Vesuvio sullo sfondo, dov'era spesso possibile incrociare le stelle del Calcio Napoli (socio della famiglia Iorio era anche l'ex campione del mondo Paolo Cannavaro, non indagato) come Edinson Cavani ed Ezequiel Lavezzi.

Impostazione accusatoria che non ha retto, alla prova del contraddittorio in aula, tant'è che i giudici, pur condannando Marco Iorio e i suoi due fratelli, ha escluso l'aggravante di aver agito per finalità mafiosa. In particolare, al primo sono stati inflitti 5 anni di reclusione (ma due li ha già scontati come custodia cautelare) e a Massimiliano e Carmine quattro anni a testa. La pena più alta è stata inflitta a Bruno Potenza (9 anni di reclusione) per associazione a delinquere e usura. Sei anni a Salvatore Potenza, tre invece a Domenico Sarpa. I locali, per i quali i pm avevano chiesto la confisca, sono stati dissequestrati. In totale, dunque, undici assoluzioni e sei condanne.

"Era un processo che per noi, almeno per quanto riguarda la posizione di Pisani, poteva anche non essere celebrato - ha dichiarato l'avvocato Rino Nugnes che, con il collega Vanni Cerino, assiste l'ex capo della Mobile - Pisani doveva essere prosciolto all'esito delle indagini. In ogni caso è un momento di grande soddisfazione". Il superpoliziotto, per il quale l'accusa aveva chiesto 4 anni di galera bollandolo come dirigente infedele della polizia di Stato, non ha voluto commentare la sentenza e si è allontanato dal Tribunale subito dopo la lettura del dispositivo.

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