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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2013 alle ore 06:44.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:12.

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Un vero colpo di scena, mentre la scena si stava spegnendo. «Perdonerò Khodorkovskij». Vladimir Putin lo ha detto uscendo, come per caso. Per più di quattro ore aveva risposto a domande di ogni tipo, intrattenendo nel World Trade Center di Mosca centinaia di giornalisti, rilassato e di buon umore. Assicurando che la Russia non ha schierato missili a Kaliningrad, al confine con la Ue, dipingendo il salvataggio dell'Ucraina - che gli costerà 20 miliardi di euro - come un gesto fraterno. L'infinita conferenza stampa era già conclusa, e il presidente russo stava andando via quando si è fermato, ha chiesto attenzione. E per la prima volta l'ha chiamato per nome.

«Mikhail Borisovich per legge dovrebbe firmare una richiesta di grazia - ha detto Putin dell'uomo che dopo aver costruito la prima compagnia petrolifera russa, Yukos, venne condannato a 13 anni per frode ed evasione fiscale - . Non lo aveva mai fatto, ma di recente ci ha rivolto una preghiera di perdono. Ha trascorso in prigione più di dieci anni, è un castigo serio». Putin avrebbe cambiato idea per ragioni umanitarie: «La madre è malata - ha continuato - per questo ritengo si possa decidere di conseguenza. A breve verrà firmato il provvedimento di grazia».
Una versione diversa da quella dei legali di Khodorkovskij, a cui non risulta che sia mai stata firmata una richiesta di perdono ma che si riservano di incontrare il proprio assistito prima di rilasciare ulteriori commenti. Al presidente, aggiungono, non è necessaria una richiesta per graziare qualcuno. «Voglio credere che Putin non sia completamente perduto», ha commentato la madre di Khodorkovskij, Marina.

Tanti, a partire dai genitori, collegano il gesto di Putin alla tregua olimpica che sta portando in libertà anche le Pussy Riot, gli attivisti di Greenpeace, alcuni tra i dimostranti di piazza Bolotnaja, una protesta contro il regime che ormai appare lontana. I Giochi invernali di Sochi in programma a febbraio sono il grande sogno di Putin, questa offensiva del sorriso cercherà di riscattarli dalle polemiche e le minacce di boicottaggio legate soprattutto alle leggi, di recente approvate alla Duma, che discriminano i gay. Forse tra le motivazioni di Putin c'è anche il preoccupante rallentamento dell'economia, e la necessità di conquistare investitori. Ma Khodorkovskij, il grande rivale, è un'altra cosa. Negli anni, dietro le sbarre, è diventato l'icona di una giustizia selettiva esercitata a fini politici. Sembrava destinato a pagare in carcere per tutta la vita la sfida lanciata dopo l'arrivo di Putin al Cremlino, nel 2000, quando il fondatore di Yukos - membro dell'élite di oligarchi cresciuti grazie alle controverse privatizzazioni seguite al crollo dell'Urss - respinse l'invito del nuovo Zar a non interferire in politica.

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