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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2013 alle ore 13:39.
L'ultima modifica è del 07 gennaio 2014 alle ore 13:03.

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Le valigie piene di regali, incastrate sopra la testa, i panini e il tè caldo spillato dai thermos. Sono da poco passate le 7 di sera e il viaggio per Milano è ancora lungo, attesa e languore del Natale che sta per arrivare e con lui i parenti che non si vedono da tanto, forse da un anno. Il rapido 904 corre nella Grande Galleria dell'Appennino, 18 chilometri di buio angusto tra le pareti di roccia. Nessuna via di fuga, quando si passa da lì si spera sempre che vada tutto bene, diversamente sarebbe una strage. E strage è infatti: alle 19.08 del 23 dicembre 1984 tra le tante valigie con regali di vita ce ne sono due, appoggiate da qualcuno tra i bagagli della carrozza 9 alla stazione di Firenze, che portano dentro la morte. Sono le 19.08, il rapido 904 è all'ottavo chilometro della galleria quando un boato d'inferno lo schianta. E' un attentato, si capirà immediatamente, nessun deragliamento, nessun errore umano è la causa della morte di 17 persone (15 sul colpo e 2 per le ferite riportate). L'Italia sta mettendo fuori la testa dagli anni di Piombo, Bologna è vicina e con lei il ricordo del 2 agosto. Ma questa volta non c'entrano i Nar, non c'entra lo stragismo politico, non c'entrano rosso e nero.

C'entra solo la Mafia "con lo scopo pratico di distogliere l'attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l'immagine del terrorismo come l'unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato", spiegherà il Pubblico Ministero Luigi Vigna durante la sua requisitoria il 9 gennaio 1986. Sul banco degli imputati, accusati di avere organizzato la strage, sono Guido Cercola e Pippo Calò, due pregiudicati affiliati alla Mafia, arrestati durante un'operazione antidroga a Roma a marzo del 1985. Un arresto fortunato perché dalle indagini condotte sui due e dalle perquisizioni del loro covo, a Rieti, si scopre che gli autori dell'attentato del rapido 904 sono proprio loro. Tra sentenze di primo, secondo e terzo grado il processo andrà avanti per anni, per la cronaca, va ricordato che ad annullare la sentenza d'Appello, che condannava all'ergastolo i due e a parecchi anni di reclusione altri complici, tra cui il boss del Rione Sanità Giuseppe Misso, fu il giudice Giuseppe Carnevale, passato alla storia col poco lusinghiero soprannome di ‘ammazza sentenze' e accusato, ma infine prosciolto, di concorso esterno in associazione mafiosa. Misso e la moglie, incidentalità della sorte, furono ammazzati in un agguato proprio lo stesso giorno della sentenza di Carnevale.

L'ultimo atto della Cassazione, giunto nel 1992, confermò tutte le condanne, e nel 2011 la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli emise un'ordinanza di custodia cautelare per Totò Riina, riconosciuto dai magistrati napoletani come il mandante della strage.

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