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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2014 alle ore 08:53.

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Dice: «Ma a trecento all'ora sopra la Ferrari per tutti quegli anni, e ancora non gli bastava?». Trecento all'ora? E che vuoi che sia? Quello voleva la velocità della luce.
Dice: «Eh, ma così, prima o poi si muore». E che vuoi che sia di nuovo? Prima o poi moriamo tutti. Non è che se vai piano – ma pure se stai fermo – non muori mai. Ti sembrerà strano, ma muori pure se non fumi, se non bevi e non fai sesso. Poi stai bene a dire: «Malasanità!». Muori pure senza manco lo sfizio d'un vizio solo in vita tua. Tu pensa che ingiustizia.
Ci sono invece quelli che nascono con il fuoco dentro. A loro non basta una vita normale, sul filo degli altri. Debbono sempre osare e stirarla al massimo: sempre sull'orlo del burrone a superare ogni limite; pensano una cosa strana e subito la fanno, più è difficile e più gli viene voglia: «Non l'ha fatta mai nessuno? Be', proprio per questo la debbo fare io». Se no s'annoiano.
Certo in giro per i bar – ma pure su twitter – c'è un sacco di gente poi, che appena le cose vanno storte e quelli incappano in un guaio, subito dice: «Te la sei cercata. Potevi restare a casa tua. Ma che te l'ho detto io d'andare in montagna? O nel deserto eventualmente, o nel più profondo degli abissi? Ci sei voluto andare? E mo' t'arrangi, no che la collettività deve spendere i soldi e rischiare altre vite per soccorrere te». E tutti subito, a Latina, pensano ogni volta a quello di Sezze – ripeto Sezze: 320 metri sul livello del mare, un tiro di schioppo da Latina, famosa per i carciofi, e lui si chiama Daniele Nardi, 35 o 36 anni – che ogni tanto parte da Sezze e va a scalare un ottomila in giro per il mondo. K2, Everest, Perù, Nanga Parbat: «Li debbo scalare tutti».
«Ma stattene a Sezze – dicono a Latina –. Che ce vai a fa' sull'Himalaya? Mica ci stanno i carciofi». Ma a parlare si fa presto, specie nei bar e soprattutto su twitter; che al bar magari ogni tanto lo trovi pure, quello che ti dà una sgrullata; su twitter invece puoi dire quello che ti pare, senza che nessuno ti faccia niente. Poi dice i tempi di una volta, quando c'erano i duelli. Mi insultavi? E ti sfidavo a duello. Altro che querele.
In ogni caso, quelli che vanno in cerca di guai ci servono come il pane, svolgono una fondamentale funzione cosmica, prima ancora che sociale. È una legge della fisica: non possiamo essere tutti perfettamente uguali, non esiste in natura la normalità. Pure in fabbrica, su cento macchine che escono da una linea di montaggio non ne trovi due che poi funzionino nello stesso modo. La stragrande maggioranza avrà prestazioni fluttuanti pressappoco sulla stessa media – ed è ciò che si definisce "normalità", una convenzione appunto – ma poi ci sarà pure una ristretta minoranza di macchine che andranno un po' meno meglio, avranno più difetti, saranno più lente; fino proprio alla macchina iellata, come si dice, quella riuscita male che si spacca sempre. Poraccio chi gli capita. Ma poi ce n'è sempre anche qualcuna che non si spacca mai e che va più forte di tutte le altre. Io avevo una 127 gialla che era la fine del mondo e prima ancora – nel 1973-77 – ho avuto una 850 Sport Coupé che in rettilineo, sull'autostrada, fregava le Giulia 1300 Ti. Ma pure se vai in spiaggia da Capo Portiere a Torre Astura e ti metti con il microscopio in mano, tu non trovi due chicchi di sabbia che siano perfettamente uguali l'uno all'altro.
O meglio, noi umani siamo sostanzialmente tutti uguali e le spinte che animano il conscio e l'inconscio di quei piantagrane – i pelonell'uovo, i cercaguai: quelli che, quando noi guardiamo tutti dalla stessa parte, loro invece si mettono a guardare di lato, oppure per terra per aria e comunque oltre; i divergenti – quelle stesse spinte le abbiamo tutti, dentro. In ognuno di noi c'è tutto il bene e tutto il male del mondo, e c'è fortissima e primaria la voglia di conformarci agli altri, per essere poi da loro amati e rassicurati. Ma c'è anche altrettanto forte e potente, sia pure repressa, la voglia di differirne, di divergere, di scoprire l'ignoto e superare i limiti imposti. Tutti avremmo voluto essere almeno una volta nella vita – almeno da ragazzi – Schumacher quando correva, o Ayrton Senna, o Jurij Gagarin, o Madame Curie. È il bisogno di integrazione e rassicurazione – il bisogno d'essere amati – che ci ha conformato a inibire e sopire quelle pulsioni. Ma il software è lo stesso e i cercaguai – i pensiero-divergenti – sono soltanto quelli che, per fortuna nostra, quelle pulsioni le hanno agite fino in fondo.
Se non fosse per loro staremmo ancora – come tutte le altre scimmie – sopra una pianta nel centro dell'Africa, a mangiare ignudi le banane. Il primo che un milione e mezzo d'anni fa è sceso dal ramo e s'è messo a scheggiare con una pietra un'altra pietra per farne un utensile, era uno di questi. E noi da sopra la pianta gli urlavamo: «Ma che stai a fa'? Ritorna qua!». Poi invece siamo scesi e gli siamo andati appresso, a scheggiare pure noi e pure oltre. Poi un altro ha detto: «Andiamo Là!». «Ma là non c'è andato mai nessuno...». «Appunto» insisteva quello, e tutti di nuovo appresso. Fino a qua, fino alla Luna, fino a Marte – verso cui è partita pochi giorni fa una navicella indiana – fino a conquistare tutte le stelle, poiché tutte le dobbiamo andare a vedere e conoscere. Perché il Nanga Parbat sì – per dirne una – e le stelle no? Altrimenti restavamo sull'albero. Che ne siamo scesi a fare, se no? Tutta sta fatica per fermarci qui? E mica la conoscenza è un bottoncino che prima lo accendi e dopo dici «Basta» e lo spegni. Alle stelle, alle stelle!

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