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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2014 alle ore 20:15.
L'ultima modifica è del 05 gennaio 2014 alle ore 20:38.

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Ma come ha detto Letta, ormai premier, alla presentazione del libro "Giorni bugiardi" scritto dagli stretti collaboratori di Bersani, Stefano Di Traglia e Chiara Geloni, il segretario del Pd si è in un certo senso immolato, sacrificandosi cioè sulla strada del "governo di cambiamento" per rendere accettabile agli occhi dei parlamentari democratici riottosi (i quasi duecento contro Marini ne sono la plastica testimonianza) l'inevitabilità delle larghe intese con il Caimano.

I mesi del dopo-sconfitta e poi del governo Letta sono stati vissuti senz'altro con amarezza dell'ex segretario, e forse anche con stress. Ma Bersani ha continuato a fare politica nel Pd, per la sua idea di Pd «bene comune» e non partito «di un uomo solo al comando», contrapponendosi con lealtà e coerenza all'ascesa di Matteo Renzi. Lealtà e coerenza riconosciuta dallo stesso sindaco di Firenze, che a Bersani si è sempre rapportato con il rispetto che ha invece mancato di dimostrare nell'ultimo anno e mezzo nei confronti di altri big del Pd (da D'Alema a Veltroni, a Marini e a Finocchiaro).

La voglia di cambiamento, quel rinnovamento chiesto dalla base, Bersani l'ha interpretata a modo suo: la scelta coraggiosa di fare le primarie per la premiership alla fine del 2012 anche se lo statuto del Pd lo indicava come candidato naturale (e infatti tutti i big, a cominciare proprio da D'Alema e Veltroni fino a Rosy Bindi e ai dirigenti dell'area ex popolare, lo avevano sconsigliato di correre il rischio contro Renzi); la scelta successiva di fare le primarie aperte per scegliere i candidati in Parlamento nonostante le liste bloccate del Porcellum, favorendo in questo modo un grande ricambio generazione nei gruppi parlamentari del Pd.

Unico leader del Pd ad essersi sottoposto a due primarie - la prima volta nel 2009 per la segreteria del partito contro Dario Franceschini, la seconda nel 2012 per la premiership del centrosinistra contro Renzi e Nichi Vendola - Bersani ha dimostrato sul campo di non temere il partito "aperto". Anzi. Solo che la sua idea di partito («la ditta») è molto diversa da quella leaderistica del neo segretario Renzi. E Bersani continuerà, ci auguriamo e gli auguriamo mentre l'ex segretario sta affrontando una delicata operazione neurochirurgica all'ospedale Maggiore di Parma - la sfida più difficile - a fare politica nel Pd come punto di riferimento di quanti non si riconoscono nella leadership di Renzi e vogliono continuare a confrontarsi dialetticamente all'interno di quello che, anche grazie a Bersani, resta l'unico grande partito popolare italiano.

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