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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2014 alle ore 10:06.

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(LaPresse)(LaPresse)

ROMA - Un'ora e mezza di faccia a faccia non è servita a ridurre le distanze tra Enrico Letta e Matteo Renzi e a portare ad un accordo sufficientemente solido da mettere al riparo il governo fino al temine stabilito della primavera del 2015. È vero che alla fine dell'incontro, avvenuto ieri mattina dalle 8 alle 9.30 dopo giorni di estrema tensione, una nota ufficiosa concordata tra i due parlava di incontro «utile e positivo».

È vero che il leader del Pd ha in tutti i modi rassicurato il premier sulla sua buona volontà di andare avanti con un'azione di governo rinnovata per tutto il 2014 e oltre, portando come "prova" anche l'ufficializzazione della sua ricandidatura a sindaco di Firenze decisa in corner proprio giovedì sera (una decisione in effetti molto apprezzata da Letta). È vero che c'è piena sintonia sul jobs act che il Pd di Renzi si appresta a presentare e approvare nella direzione del 16 gennaio. Ma la diffidenza reciproca è rimasta, e ciascuno dei due è rimasto sulle sue posizioni riguardo alla legge elettorale. Letta, come ha spiegato in serata in un'intervista a Rainews24, ritiene che «Renzi fa benissimo a parlare con tutti, ma a partire dal perimetro della maggioranza». Per Renzi quella elettorale resta una materia che spetta al Parlamento ed è in Parlamento che va ricercata un'intesa, con chi ci sta. La strada della trattativa con Silvio Berlusconi sul Mattarellum corretto inviso al vicepremier Angelino Alfano resta dunque tutta in piedi, e nei prossimi giorni ci dovrebbe essere l'ormai famoso incontro tra il Cavaliere e il leader del Pd. E ai suoi Renzi spiega che Angelino Alfano non ha nessun potere di veto, dal momento che la durata di questo governo è l'unica garanzia di sopravvivenza per il suo Nuovo centrodestra.

Quello che interessa a Renzi è la tempistica: vuole la legge elettorale subito, il prima possibile, entro i primi di marzo. Letta gli concede entro le europee del 25 maggio. Il nodo è tutto lì, in quei due mesi che potrebbero chiudere o meno la finestra per poter sciogliere le Camere in tempo per l'election day con le europee. La tempistica fissata da premier e leader del Pd è indicativa del braccio di ferro in corso: per Letta il patto di coalizione – che non comprende la legge elettorale ma tutto il resto, dal jobs act alle riforme costituzionali alla sburocratizzazione – deve essere chiuso entro il 20-21 gennaio. Subito, prima dell'appuntamento-esame che il premier ha in agenda (il 29) con il presidente della commissione Ue Barroso e con il collegio della stessa commissione in vista delle pagelle di febbraio sui conti pubblici e sui programmi economici per il 2014. Letta non può e non vuole presentarsi senza il "patto" Impegno 2014 già siglato. Renzi fissa invece la dead line per il 27 gennaio, giorno in cui l'accordo sulla legge elettorale dovrà essere trovato per passare all'esame dell'Aula di Montecitorio. «La priorità è la legge elettorale, poi il jobs act, poi si vede», fanno trapelare dall'entourage del leader del Pd. Come a dire: se non c'è l'accordo sulla legge elettorale non c'è neanche la firma del "patto". Il mantra che correva ieri a Largo del Nazareno, dove Renzi ha passato la giornata per fare il punto con staff e segreteria dopo il vertice, era «basta chiacchiere, ora si corre».
E anche il fronte rimpasto aperto ufficialmente da Letta, che lo ha citato tra i nodi da affrontare nella sua intervista a Rainews24, non sembra essere frutto di un accordo tra i due quanto un tentativo del premier di legare Renzi all'azione di governo. Anche se i suoi ne parlano, il leader del Pd il rimpasto non lo chiede né vuole chiederlo. «Deciderà Letta, io non tratto sulle poltrone», ripete ai suoi. In questa fase le mani libere hanno un prezzo altissimo che non si baratta.

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