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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2014 alle ore 08:42.

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Anouk Aimée scendeva da questa scalinata di legno lustro in una scena di Lola, film cult di Jacques Demy, regista di commedie musicali, figlio di un garagista, che esercitava a breve distanza da qui, nel cuore di Nantes. Lola, cantante di cabaret: infaticabile ottimista, un po' svitata, gli occhi scuri di Anouk. Era il 1961. Trent'anni dopo, Catherine Deneuve, invece, quella scalinata, luccicante sotto il sole che filtra dalle vetrate in alto, la saliva, nel film di Jean-Loup Hubert, La Reine Blanche: algida e sensuale, Catherine-Liliane veniva importunata da un vecchio amore e da segreti ricordi, mentre allora come oggi la gente va e viene tra i negozi di questa galleria urbana, il Passage Pommeraye. Era trascorsa una decina d'anni da un'altra mitica scena di un altro mitico film, Une chambre en ville. Ancora Demy, ancora quella scalinata. Ma faceva buio e il Passage Pommeraye appariva così cupo, mentre una melodrammatica Dominique Sanda fuggiva, nuda sotto il suo visone, Dominique-Edith, aristocratica che per hobby si prostituiva (solo una provocazione), convertita alla lotta di classe, aveva appena visto il marito (Michel Piccoli), proprietario di uno dei negozi della galleria, venditore di televisioni, sgozzarsi per amore. Un amore malato, disperato per lei.
È anche grazie al cinema che il Passage Pommeraye è migrato dritto nell'immaginario collettivo dei francesi. Luogo magnificente, dalla decorazione ostentata (fregi, capitelli, statue), il frutto dei capricci di mercanti ottocenteschi, molto ricchi e molto parvenus. Una città nella città, significativo per i surrealisti, che di Nantes, in fondo alla valle della Loira, dove già si sente l'odore dell'oceano, fecero una delle loro città simbolo. Il Pommeraye è stato un pretesto, l'ispirazione di scrittori, pittori, fumettisti, registi. «Negli anni Sessanta si diceva che delle giovani donne venissero qui a fare acquisti e poi scomparissero, per diventare schiave sessuali in Paesi lontani», ricorda lo storico André Péron. Una tratta di bianche, in una città che fino all'Ottocento, quando il Passage venne edificato, costruì la sua ricchezza grazie al commercio degli schiavi africani.
Da qualche mese i lavori di ristrutturazione del Passage sono iniziati, la più grande opera di restauro mai realizzata dalla costruzione. Un cartello a una delle entrate, su rue de la Fosse, invita i visitatori a «osservare il lavoro degli artigiani», perché la galleria resterà sempre aperta, fino al termine dell'opera, previsto nella primavera 2015. I negozi (a parte uno dei nomi della moda globalizzata, tutti dall'atmosfera rassicurante della borghesia di provincia) resteranno sempre aperti. Si sta costruendo anche una nuova galleria, collegata al Pommeraye. Yves Steff, architetto e urbanista, ha curato nel passato i piani regolatori del centro, che già prevedevano, dagli anni Ottanta, quest'aggiunta. Oggi è l'architetto scelto dai proprietari del Pommeraye (sia di fondi commerciali che di appartamenti accessibili dall'interno) per rappresentare i loro interessi. «Abbiamo imposto – racconta – che non ci fosse confusione fra le architetture della vecchia e della nuova galleria. Che, quindi, sarà davvero contemporanea, sebbene con qualche riferimento al Pommeraye: la continuazione, ad esempio, delle ampie vetrine dei negozi». La madre di Steff, un'arzilla signora di 93 anni, vive ancora lì, nel Passage. Quando il guardiano la sera chiude le entrate della galleria al pubblico, «l'atmosfera – confida Steff – diventa molto misteriosa».
Misterioso fu anche l'ideatore della galleria, Louis Pommeraye. Era un brillante notaio, aveva appena una trentina d'anni, sembianze da dandy. «Figlio di una ragazza madre, di origini aristocratiche, ma il padre era sconosciuto – ricorda lo storico Péron –: aveva una rivincita sociale da prendere». Ebbe l'idea di collegare con una galleria l'area della Borsa, degli affari, in basso, al quartiere Graslin, settecentesco, collocato più in alto, con il suo teatro, in stile neoclassico, i suoi locali. Pommeraye raccolse fondi dalle famiglie più benestanti della città. «Ormai il commercio degli schiavi si era interrotto, ma era con quei traffici che erano diventate ricchissime».
La tratta è un ricordo imbarazzante per Nantes, ancora oggi. Nei giorni scorsi, in città, doveva esibirsi Dieudonné M'Bala M'Bala, il comico al centro di feroci polemiche, accusato di antisemitismo. E che spesso paragona la Shoah con la schiavitù degli africani, secondo lui sminuita rispetto all'altra tragedia. Il suo spettacolo è stato sospeso. Nantes con la schiavitù divenne ricca. Indirettamente anche il Pommeraye derivò da quei traffici. La sua particolarità, rispetto ad altre gallerie urbane, costruite a Parigi già dalla fine del diciottesimo secolo, era superare un dislivello di oltre nove metri. E così il Pommeraye, prodigio tecnologico (e costosissimo) degli architetti Jean-Baptiste Buron e Hippolyte Durand-Gasselin, si articolò intorno alla famosa scalinata monumentale. Fu inaugurato nel giugno 1843. Ma con la crisi politica ed economica del 1848, Pommeraye, che aveva utilizzato i fondi della società per investimenti azzardati, fece bancarotta. Fuggì con la famiglia dalla città, morì improvvisamente il 6 agosto 1850. Ma i primi anni il Pommeraye ebbe comunque un grande successo, vetrina intima di una città ricca e dinamica. La crisi iniziò alla fine del XIX secolo, quando il gigantismo prevalse nella costruzione delle gallerie urbane, vedi i casi di Milano e Napoli: altro stile, altra moda. E poi la nascita dei grandi magazzini fece concorrenza a quelle gallerie di negozi. «Più tardi, indebolito il loro ruolo economico – continua Péron –, ne recuperarono uno intellettuale e artistico grazie ai surrealisti». Louis Aragon, uno dei fondatori del movimento con André Breton, pubblicò nel 1926 Le paysan de Paris, un romanzo che si svolge nel passage de l'Opéra, a Parigi, distrutto di lì a poco.

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