Myanmar: l'ultimo Eldorado degli investitori?
L'ultima frontiera della globalizzazione: quasi del tutto chiuso all'occidente per decenni, il Myanmar è ricomparso a pieno titolo sulle cartine geografiche da meno di due anni e ha subito scatenato una sorta di corsa all'oro
Foto di Arianna Boldura, testi di Gianluca Di Donfrancesco
4. Alla scoperta del Myanmar / Agricoltura ricca ma poco produttiva
Il Myanmar è un Paese a economia prevalentemente agricola. Il settore generava il 60% del Pil fino al 2000, quando ha cominciato a cedere quote, fino ad attestarsi al 36% del Pil e al 25-30% delle esportazioni. Soprattutto, l'agricoltura assorbe il 70% dei 34 milioni di lavoratori (industria 7%, servizi 23%). La produzione alimentare è sufficiente a mantenere l'intera popolazione, eppure molti soffrono fame e malnutrizione per l'estrema povertà. I coltivatori dipendono largamente dalle piogge, in assenza di un sistema d'irrigazione efficace (nella foto, le risaie dell'altopiano di Kalaw). Solo metà dei 45 milioni di acri coltivabili sono sfruttati, questo lascia le terre lavorate ad appena il 18% della superficie del Paese. La produttività pro-capite è la più bassa della regione.
Altra grande risorsa del Paese sono le foreste. Lo sfruttamento cinese ne ha distrutto il 70%: fino al 2005 occupavano metà del Myanmar, ora si sono ritirate a meno di un quarto e a questo ritmo sparirebbero in dieci anni, secondo la Environmental investigation. Il Governo ora cerca di tutelare quel che resta e che custodisce specie animali quasi estinte. Così, anche per incentivare la lavorazione locale, da quest'anno, potrebbe vietare l'esportazione del teak birmano, il più pregiato al mondo, quello usato nella costruzione degli yacht di lusso. Circa il 75% del mercato mondiale è alimentato dalle foreste birmane, nonostante il blocco economico statunitense ed europeo. Il commercio di teak vale circa 600 milioni di dollari l'anno.
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