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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2014 alle ore 06:42.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:40.

Lo sviluppo può coesistere con l'architettura, il paesaggio e i beni culturali? La risposta a una domanda apparentemente retorica è semplice: deve. Altrimenti questo Paese non sarebbe l'Italia, Venezia e le Ville Venete nella stessa regione della concia di Arzignano e dell'occhialeria di Agordo; Firenze e Siena accanto alla pelletteria di Prato e al distretto dell'oreficeria di Arezzo.

Dunque, il rispetto dell'ambiente e dei vincoli paesaggistici non può essere messo in discussione. Sarebbe un clamoroso autogol. Altra cosa è il formalismo, re cavillo che a ogni pie' sospinto, con i suoi fidi scudieri Tar e Consiglio di Stato, blocca ogni opera per aspetti formalmente inappuntabili, ma che fanno a cazzotti con il buon senso e lo sviluppo di un Paese.

Il caso dell'elettrodotto Dolo-Camin è ancora una volta emblematico: un'opera strategica rimane al palo non per un problema sostanziale di fattibilità o di regole violate, ma per la paternità di una perizia e la mancata concessione di un permesso a lavorare su circa 300 chilometri di linea mentre si sanano i due chilometri contestati. E rischia di rivivere un incubo autorizzativo durato sei anni e azzerato con una sentenza amministrativa.

Verrebbe da dire "vade retro satana" o "vade retro Tar-Consiglio di Stato". A valle della sentenza, oltre al danno c'è in agguato la beffa: come opera di compensazione all'elettrodotto, Terna avrebbe dovuto abbattere i tralicci dell'alta tensione che a Marghera impediscono la costruzione del sito di smaltimento dei fanghi di bonifica del sito industriale dismesso. Sostanze che, attualmente, vengono portate in Germania per trattamenti pagati dai contribuenti italiani. Quanto di più anti-ecologico e anti-economico si possa immaginare. Per un cavillo amministrativo.

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