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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2014 alle ore 14:26.
L'ultima modifica è del 20 gennaio 2014 alle ore 15:19.

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In Italia l'inverno per la cultura è sempre più gelido. Il 2013 si chiude infatti con un bilancio in rosso: 39 italiani su cento (il 3,7% in più rispetto al 2012) non hanno partecipato ad alcuna attività culturale nel corso dell'anno. Aumenta la quota di quelli che non leggono nemmeno un libro all'anno: il 57% degli italiani, il 3% in più rispetto al 2012. I dati, presentati oggi da Federculture alla Camera dei deputati, confermano il malessere già messo in evidenza nelle ultime analisi, a cominciare dal Rapporto Federculture 2013. Insomma, siamo in coda alle classifiche europee: secondo Eurobarometro, il nostro indice di partecipazione culturale nazionale è all'8%, contro una media Ue che raggiunge il 18% (in cima alla classifica la Svezia, dove il 43% dei cittadini prende parte in maniera assidua ad attività culturali).

Il calo della domanda di pari passo con quello dell'offerta
Se il quadro sotto il profilo della domanda è drammatico, la situazione dal punto di vista dell'offerta non è certamente migliore. Anzi: il calo della domanda va di pari passo con quello dell'offerta. Se si guarda agli ultimi dieci anni, la riduzione dell'impegno pubblico nella cultura è una costante. Le risorse a disposizione del ministero dei Beni culturali in dieci anni hanno perso quasi un miliardo. Oggi il budget è di un miliardo e mezzo, lo 0,20% del bilancio dello Stato, e per il triennio 2014-2016 si prevede un'ulteriore sforbiciata fino a raggiungere quota 1,4 miliardi (al Mibact, peraltro, è stata trasferita la competenza sul turismo). Sempre sul piano pubblico, in un solo anno - tra il 2010 e il 2011 (ultimi bilanci disponibili) - i Comuni - in difficoltà per la crisi e soggetti ai vincoli del patto di stabilità interno - hanno tagliato dell'11% gli investimenti annuali nelle politiche culturali; dal 2003 sono stati cancellati oltre 500 milioni. «In tempi di crisi spendere per cultura non è uno spreco», ha sottolineato la presidente della Camera Laura Boldrini, intervenuta alla presentazione del rapporto. Per dare un'idea dell'inadeguatezza degli investimenti pubblici, basta ricordare che il British Museum riceve 85,5 milioni di sterline l'anno, la Tate Gallery 38,7, il Louvre 100 milioni di euro, mentre La Triennale ottiene 2,4 milioni (76% autofinanziati) e il Palaexpo 9 milioni (58% autofinanziati).

Meno risorse da sponsorizzazioni private e fondazioni
E i privati? Anche qui il bilancio è negativo: investimenti in contrazione. Dal 2008 dalle sponsorizzazioni private e dalle erogazioni delle fondazioni bancarie sono arrivate alla cultura, rispettivamente, il 38% e il 40,5% di risorse in meno. Nel 2013 le sponsorizzazioni da parte delle aziende private alla cultura sono state pari a 159 milioni.

Sempre meno italiani vanno a teatro o visitano un museo
Il budget diminuisce, a fronte di un'industria culturale e creativa che in Italia produce il 5,4% del Pil, pari a 75,5 miliardi, e dà lavoro a 1,4 milioni di occupati. Gli italiani spendono poco in cultura: in media il 7,1% per nucleo familiare, contro il 10,6% della Gran Bretagna. Dopo vent'anni di crescita del settore, la spesa pro capite per teatro, cinema, visite a musei e mostre, siti archeologici e monumenti si riduce. Sale dal 36,2% del 2012 al 38,9% del 2013 la percentuale della popolazione con più di sei anni che non ha partecipato a nemmeno un intrattenimento culturale fuori casa. Positivo il commento di Federculture sull'introduzione della detrazione fiscale della spesa per l'acquisto di libri prevista nel decreto "Destinazione Italia".

Il nodo (strategico) della formazione
Le difficoltà sono evidenti anche sul piano formativo. L'Italia, sottolinea ancora Federculture, è al 26esimo posto tra i Paesi della Ue per spesa pubblica nell'istruzione. Introdotto dalla Riforma Gentile del 1923, l'insegnamento della Storia dell'arte è stato per anni una peculiarità italiana. Oggi lo si riduce: viene considerata materia obsoleta, quando in Francia dal 2008 questi insegnamento è stato reso obbligatorio in tutti gli indirizzi educativi, a partire dalla scuola primaria.

Il gap sul digitale
L'Italia insegue anche sul digitale. In Europa il Paese è ultimo nell'accesso e nell'uso delle risorse digitali. Solo il 3% dei musei italiani ha applicazioni per smartphone e tablet. Solo il 6% ha audioguide o dispositivi digitali per le visite. Il 13% dei musei ha un catalogo accessibile online.

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