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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2014 alle ore 08:16.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:48.

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(Reuters)(Reuters)

MILANO - Sembrava che il peggio fosse passato per gli emergenti. Dopo un 2013 concluso con riscatti record per i fondi azionari e obbligazionari specializzati nelle nuove economie (59 miliardi di dollari) con i listini che da maggio dell'anno scorso hanno bruciato oltre 940 miliardi di capitalizzazione, il fondo del barile pareva essere stato raggiunto. Ma così non è stato ed evidentemente c'è ancora molto da scavare. Anche ieri è stata una giornata pesante gli asset emergenti. L'indice Msci Emerging Markets, che monitora i principali listini di Borsa delle nuove economie ha messo a segno un calo dell'1,28% con la peggiore performance dallo scorso 21 novembre. Diverse monete emergenti si sono svalutate come il Peso argentino (vedi articolo a pag. 10) la lira turca o il Rand sudafricano.

I fattori di nervosismo
Un mix di elementi ha scatenato questo "selloff": i timori sul rallentamento della crescita cinese dopo le indicazioni peggiori delle attese arrivate dagli indici sui responsabili delle imprese si sono sommati alle nuove paure, a 13 anni dal default, sul caso Argentina. Il tutto in un contesto di incertezza sulle mosse della Federal Reserve che la prossima settimana potrebbe decidere un'ulteriore taglio degli stimoli monetari portando gli acquisti mensili di titoli da 75 a 65 miliardi di dollari. Come se non bastasse il rialzo delle aspettative sull'inflazione giapponese, che secondo l'esponente del Fmi Naoyuki Shinohara potrebbe raggiungere l'obiettivo del 2% nel 2017, hanno raffreddato le speranze del mercato su un possibile incremento della politica monetaria espansiva da parte della Bank of Japan che, sull'esempio della Fed, ha deciso lo scorso anno di stampare moneta per rilanciare l'economia. Lo stesso Shinohara peraltro ha dichiarato di non vederne la necessità.

Corsa all'asset rifugio
La liquidità in fuga dagli asset emergenti si è concentrata ieri soprattutto sui cosiddetti asset rifugio: il dollaro, il franco svizzero lo yen giapponese sul fronte valutario. Su quello obbligazionario hanno corso in particolare i bond dei Paesi a tripla A come la Germania, la Svizzera o il Regno Unito. Per contro gli asset più rischiosi (e redditizi) fortemente gettonati nelle prime settimane del nuovo anno sono stati bersagliati dalle vendite. Per le Borse europee, reduci da una seduta in netto calo (giovedì l'indice Stoxx 600 europeo aveva perso l'1%), è stata una giornata da dimenticare: l'indice Ftse Mib di Piazza Affari ha perso il 2,3% in una seduta in cui solo Bpm (+0,84%) ha chiuso in controtendenza grazie al consenso sull'aumento di capitale; il Cac 40 di Parigi e il Dax di Francoforte hanno fatto peggio perdendo rispettivamente il 2,73 e il 2,46 per cento. Maglia nera è Madrid (-3,64%) che ha scontato l'esposizione sul mercato argentino. Tutti i maggiori listini del Vecchio Continente hanno così azzerato i guadagni da inizio anno ad eccezione di Milano che conserva un rialzo del 2,06 per cento.

Lo spread balza 225 punti
La corsa all'asset rifugio sul fronte obbligazionario ha premiato il bund tedesco il cui rendimento è sceso nel corso della seduta a un minimo dell'1,64%, livelli che non si vedevano da luglio dell'anno scorso, per attestarsi in chiusura all'1,65 per cento. Movimenti al ribasso ci sono stati sui bond di altri Paesi "core" come Francia e Gran Bretagna. Per contro sono tornati a salire i tassi dei titoli di Spagna, Italia e soprattutto Portogallo, reduci da un'avvio rally nel nuovo anno. Il tasso sul BTp decennale è tornato così oltre il 3,9 per cento. Il differenziale di rendimento, che solo qualche settimana fa era sceso sotto la soglia psicologica dei 200 punti, ieri è così risalito sopra quota 220 toccando un massimo di seduta a 228 per attestarsi, al termine delle contrattazioni, a 225 punti. I rendimenti sono risaliti su tutta la curva e lo stesso è successo ai titoli di Spagna e Portogallo. Da registrare infine che Moody's ha confermato in serata il rating Aa1 sui titoli di stato del governo francese, mantenendo l'outlook negativo.
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