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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2014 alle ore 15:59.
L'ultima modifica è del 28 gennaio 2014 alle ore 22:44.

Quando Alfano chiese a Riina come si trovasse in carcere, quest'ultimo rispose: «No, no, tutto a posto, io sto bene, certo siamo soli, però meno male che qui viene spesso a trovarmi il direttore del carcere Giacinto Siciliano».
Secondo una teste donna, tra i due appariva esservi un rapporto di «grande amicizia e di grande conoscenza» desumibile dal fatto che il direttore lasciasse liberamente il detenuto parlare limitandosi ad annuire (pagina 19 della sentenza n.8222/13 pronunciata il 27 giugno 2013 dall'VIII sezione penale del Tribunale di Milano).
Un altro teste (pagina 22 della sentenza) confermerà che per Riina il direttore era «come un papà», che era un «figlio d'arte», alludendo alla circostanza che anche il padre del direttore Siciliano era stato a sua volta direttore di una casa circondariale.
Il 27 giugno 2013 Siciliano, nel corso di un'udienza a Milano, confermerà che «l'imputato aveva fatto riferimento alla sua persona affermando che il "direttore fosse un po' il padre di tutti i detenuti…Fece in particolare riferimento a mio padre, dicendo che io avevo ereditato probabilmente da mio padre il rispetto della dignità dei detenuti e delle persone". Il teste pertanto forniva spiegazioni delle frasi elogiative che gli erano state rivolte e che lo avevano visto "muto" spettatore non avendo alcunchè evidentemente da replicare» (pagina 24 della sentenza).
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