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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2014 alle ore 06:46.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:54.

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Quando nello scorso mese di dicembre, la consueta indagine sulla Qualità della vita nelle province italiane realizzata dal Sole 24 Ore aveva attribuito a Napoli la maglia nera nazionale, il sindaco Luigi De Magistris aveva liquidato l'analisi chiarendo di non guardare le graduatorie. Da allora, in neppure due mesi, Napoli ha continuato a precipitare in un baratro da cui non si riesce a comprendere come l'amministrazione comunale intende uscire.

In rapida sequenza, il Teatro San Carlo, di cui il Comune è socio di riferimento e De Magistris presidente (lo è stato fino alla decadenza del cda per la precisione), è andato in crisi finanziaria, non si è stati capaci di aderire al decreto Valore cultura, e il governo ha dovuto mandare un commissario a ricomporre i cocci; la Corte dei conti ha bocciato senza appello il piano di rientro dei debiti dell'amministrazione in base al quale il Comune aveva aderito al decreto salva enti un anno fa e adesso la città è a un passo dalla dichiarazione di dissesto (con tanto di ennesimo commissariamento): tanto che De Magistris sta provando a correre ai ripari chiedendo un intervento salvifico del presidente della Repubblica; e, infine, Fintecna (cioè il Tesoro), forte di un credito da 59 milioni, ha presentato istanza di fallimento per Bagnolifutura. Anche in questo caso, essenzialmente per una massa debitoria cresciuta a dismisura senza che il socio Comune mettesse rimedio disegnando progetti realistici e realizzabili di sviluppo tali da, una volta bonificata completamente l'area, consentire l'arrivo di investitori più volte sbandierati (anche da quest'ultimo sindaco).

Insomma, è chiaro che stanno venendo al pettine tutti quei nodi che l'amministrazione nei suoi primi due anni e mezzo di gestione ha creato con scelte che avevano suscitato più di una perplessità tanto da innescare siluramenti e fuoriuscite a catena dalla stessa giunta comunale. Un esempio ulteriore di questi nodi? La patata bollente delle partecipate, macchine mangia risorse incapaci di offrire servizi. Un altro esempio? La gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare che il sindaco ha voluto riportare in house, affidandola a una partecipata che però non ne ha minimamente il know how, a fronte della possibilità di espletare una gara per una nuova gestione privatisca, gestione che negli ultimi anni aveva garantito un importante gettito economico alle asfittiche casse municipali adesso ritornate all'asciutto. Non sarà un caso se la Corte dei conti ha messo nel mirino innanzitutto sia le partecipate, sia la gestione del patrimonio immobiliare per bocciare il piano di rientro dal deficit del Comune di Napoli. A commento dell'indagine sulla Qualità della vita avevamo consigliato al sindaco di ritornare a confrontarsi con la classe dirigente della città, con le parti sociali (anche i sindacati si sono resi disponibili e attendono un segnale) e con le altre istituzioni, in uno spirito più costruttivo e più efficace. Non possiamo che ribadire l'invito: in ballo c'è il destino della gente di Napoli, la terza città d'Italia. Non solo e non tanto la sua "rivoluzione arancione" che a conti fatti sta mostrando più di una défaillance.

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