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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2014 alle ore 12:59.
L'ultima modifica è del 01 febbraio 2014 alle ore 13:26.

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(credit Massimo Morello)(credit Massimo Morello)

La confusione cromatica rispecchia quella politica ed elettorale. Il movimento di Suthep, infatti, non vuole le elezioni, che giudica condizionate dalla corruzione e dal populismo. È per questo che si oppone al voto, ha ostacolato la presentazione delle candidature e bloccato l'accesso ai seggi nelle votazioni anticipate della settimana scorsa (per coloro che non possono rientrare nel loro collegio elettorale). Ed è per questo che ha indetto il "Picnic Day". Sulla stessa linea il Partito Democratico, di cui Suthep faceva parte: giudicando ineluttabile la sconfitta, non si presenta alle elezioni, lasciando libera scelta tra il non voto e il voto nullo.

Suthep chiede invece la formazione di un "consiglio di saggi" per formare un "parlamento del popolo" che dovrebbe procedere alle riforme necessarie per abbattere il "Thaksin regime" e creare i presupposti per una vera democrazia. «Non riesco a capire che cosa voglia dire» commenta il politologo Pavin Chachavalpongpun. Probabilmente non lo capiscono bene anche i militari, che non sembrano disposti a un colpo di stato (dal 1932 ce ne sono già stati 18). Almeno non a sostegno del progetto di Suthep. Se interverranno, lo faranno quando potranno apparire come i salvatori del Regno anziché golpisti. «Temo che questa situazione possa far scivolare la Thailandia verso una guerra civile a bassa intensità» ha dichiarato Paul Chambers, ricercatore capo dell'Istituto di Studi sul sud-est asiatico dell'università di Chiang Mai.

E' un timore diffuso. Secondo Kriengsak Chareonwongsak, ex senatore del Partito Democratico che ha abbandonato la politica in spregio ai politici, un accordo sarà possibile solo dopo un bagno di sangue. «Il problema non è la democrazia. È il controllo» ha dichiarato. Aggiungendo che, da qualunque fazione la si osservi, la democrazia thai è una democrazia controllata. Anche dai trafficanti di droga.

"Il controllo della Thailandia moderna è passato attraverso l'accordo per l'alternanza di differenti elite" ha scritto Jeffrey Race, analista politico che risiede nel paese da quasi mezzo secolo. È questo il problema. Le posizioni che si confrontano rappresentano i diversi aspetti di una società feudale, che non può essere valutata secondo la filosofia politica occidentale. Se i "rossi" possono apparire come sanculotti che si ribellano all'Ancien Règime, il partito cui fanno riferimento non è portatore di un'ideologia rivoluzionaria, ma vuole semplicemente sostituirsi all'elite dominante.

Anche per i dirigenti del Pheu Tai, il sistema "pee-nong" (superiore-inferiore) resta un cardine della società. Il movimento d'opposizione, d'altro canto, non più limitato ai "gialli", la nobiltà e l'alta borghesia, comprende una galassia di gruppi disposti a barattare la democrazia con un regime di uomini onesti. In nome del "kreng jai", sistema per cui si deve rispetto a coloro che dimostrino meriti tali da detenere il potere.

Le elezioni di domani non possono risolvere tale contrapposizione. Il rischio è che segnino l'inizio di una guerra civile: se i gialli stanno circondando i seggi e i palazzi del governo di Bangkok, i rossi stanno circondando Bangkok. C'è anche chi ha ipotizzato una divisione del paese, tra il nord e il nord-est, feudo dei Thaksin, e Bangkok e il sud, dove si concentrano i sostenitori del Partito Democratico. Secondo le ultime voci i militari si preparano a intervenire proprio per evitare la secessione.

Ma anche se le elezioni si svolgeranno "regolarmente", per le complessità e i cavilli della legge thai non si sa ancora se saranno ritenute valide, se verranno annullate, se si dovrà ricorrere ad elezioni suppletive. Né, ovviamente, quando verranno comunicati i risultati.

In questo vuoto di potere l'economia thai rischia il collasso. Le previsioni di crescita del Prodotto interno lordo per il 2014 restano sotto la soglia del 3%. Il turismo, che rappresenta oltre il 7% del Pil ha subito un crollo. Gli investitori esteri stanno studiando la possibilità di ricollocare gli impianti in altri paesi (specie in Myanmar). Ancor più gravi le conseguenze sul piano internazionale: la situazione thailandese mette a rischio le fragilissime aperture democratiche in paesi come Vietnam, la Cambogia o lo stesso Myanmar.

I regimi in carica possono prenderla a esempio per dimostrare come i valori universali proclamati dall'Occidente non siano applicabili in Asia. Per ora gli unici che traggono beneficio da questa situazione sono i produttori e i venditori di magliette, fischietti, distintivi, gli ambulanti che affollano i luoghi delle manifestazioni più numerosi dei manifestanti stessi.

Un anticipo di ciò che potrebbe accadere domemica si è verificato questa sera. Quando un gruppo di manifestanti che bloccavano l'accesso a un'area di Bangkok per impedire la consegna delle urne elettorali è stato attaccato da un gruppo di "rossi". Nello scontro sono state ferite sei persone, quattro per colpi d'arma da fuoco. Tra loro il famoso fotografo americano James Nachtwey. Per controllare la situazione in aiuto della polizia sono intervenuti 150 soldati.

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