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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2014 alle ore 15:31.
L'ultima modifica è del 02 febbraio 2014 alle ore 16:02.

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BANGKOK - Sulla scheda elettorale thailandese c'era una freccetta rossa che indicava un quadratino. Chi lo sbarrava esprimeva l'intenzione di non voler votare nessuno dei candidati in lista. Un modo per esprimere dissenso nei confronti dell'attuale partito di maggioranza, il Pheu Thai e del primo ministro Yingluck Shinawatra. Ma anche per rifiutare il boicottaggio delle elezioni chiesto da Suthep Thaugsuban leader del movimento d'opposizione, il People's Democratic Reform Committee (PDRC).

Le elezioni che si sono svolte domenica 2 febbraio, infatti, non vedevano una reale contrapposizione. A parte una cinquantina di formazioni minori, ognuna con proposte fantasiose, l'unico partito in lizza era il Pheu Thai (Per i Thai), formato da Thaksin Shinawatra (fratello maggiore dell'attuale premier) per dirigere il paese dall'esilio cui è costretto dopo il colpo di stato del 2006 e, soprattutto, una condanna per corruzione. Il Partito Democratico, tradizionalmente legato alle elite economiche, che da quasi vent'anni non riesce a vincere le elezioni, ha deciso di non presentarsi, allineandosi sulle posizioni di Suthep, che ne era esponente di spicco. Per usare una definizione in uso (anche se superata) sono, rispettivamente, i "rossi" (dal colore delle magliette indossate quando furono loro a occupare Bangkok, nel 2010) e i "gialli", dal colore della famiglia reale.

Per scoprire quanti dei thailandesi abbiano scelto la "via di mezzo" – che nel buddhismo rappresenta il rifiuto di ogni estremismo, indispensabile a raggiungere l'illuminazione - bisognerà attendere almeno sino a fine febbraio. In questo turno elettorale si è votato in quasi il 90% dei seggi, ma il boicottaggio del Pdrc e del Partito Democratico non ha permesso di raggiungere i quorum necessari a formare un governo. Senza contare che dovranno essere ripetute le elezioni anticipate della settimana scorsa (per i cittadini che non potevano raggiungere la loro residenza), inficiate dalle manifestazioni. Le nuove "elezioni anticipate" si svolgeranno il 23 febbraio e prima di allora non possono essere comunicati i risultati di quelle generali. Né sembra probabile che dopo tale data si possa comunque formare un governo.

Addentrarsi nei cavilli della legge thai significa perdersi in un teatro delle ombre – tipico della tradizione asiatica – in cui nulla è come appare. L'unico risultato reale delle elezioni è la divisione del paese. Da una parte il nord e il nord-est, in cui la partecipazione al voto è stata totale, dall'altra Bangkok e il sud della Thailandia, dove molti si sono astenuti. E' la contrapposizione tra le regioni più povere, beneficate dalla politica populista - ma anche realmente riformista (ne è prova l'assistenza medica) - di Thaksin, l'area metropolitana di Bangkok, popolata da differenti classi borghesi che identificano nella politica di Thaksin un rischio sociale ed economico, e il sud, che rimprovera a Thaksin i favori rivolti al nord, da dove proviene, e la violenta repressione contro i musulmani dell'area (le donne velate presenti alle manifestazioni ne erano testimoni). Contrapposizione che negli ultimi anni è divenuta un "conflitto filosofico": tra la "democrazia illuminata" dei seguaci di Suthep, che invocano un comitato di saggi non eletti per formare il governo, e una democrazia di stampo tribale, legata a clan o villaggi, proposta dai fedeli di Thaksin. Non a caso nei blog dei manifestanti i "rossi" sono paragonati ai Khmer rossi di Pol Pot (con l'aggravante del sostegno di misteriose lobby finanziarie americane e, per alcuni, ebraiche). Per i rossi, invece, i gialli incarnano i vizi e le depravazioni di un'elite che da secoli li tiene uno stato di servitù.

L'altro risultato delle elezioni dipende dai punti di vista. Suthep si dichiara vittorioso dato che è riuscito a vanificare le elezioni. Tanto che vuole denunciare la primo ministro Yingluck per aver sperperato il denaro pubblico in elezioni che sapeva si sarebbero rivelate nulle. Inoltre, nel limbo politico che si è creato diviene più facile portare avanti altre azioni legali conto il partito della premier, accusata di corruzione per la contestata (e disastrosa) legge sul prezzo garantito del riso. Yingluck, dal canto suo, può vantare un'affluenza alle urne superiore a quella prevista e un'effettiva maggioranza nel paese.

Nonostante gli scontri precedenti, le elezioni si sono svolte in relativa calma. E le ragazze di soi cow boy (una delle più popolari vie a luci rosse di Bangkok) hanno ripreso il lavoro dopo un sabato libero (il che era apparso un segnale di vero pericolo). Ma ora si sente ripetere sempre più spesso una frase minacciosa: "aw may tii hua", "devi colpirlo in testa con un grosso bastone". Ha scritto l'antropologo Marc Augé: «I politici di ogni schieramento ci danno l'impressione di giocare col fuoco senza sapere bene chi lo abbia acceso, chi lo alimenti e in quale direzione soffi il vento».

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