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Questo articolo è stato pubblicato il 03 febbraio 2014 alle ore 12:36.
L'ultima modifica è del 03 febbraio 2014 alle ore 20:10.

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BRUXELLES – La Commissione europea ha presentato questa mattina un chiaro atto d'accusa contro l'abitudine in Italia della corruzione, anche nel settore privato. Secondo la Corte dei Conti a Roma, i costi diretti di questo fenomeno ammontano ogni anno a 60 miliardi di euro. In un rapporto di 16 pagine, l'esecutivo comunitario denuncia tra le altre cose la mancanza di una regolamentazione delle lobbies, di troppe leggi ad personam, e della mancata piena trasposizione di una direttiva europea per combattere la corruzione nel settore privato.

«In Europa non ci sono aree non affette da corruzione. Prendiamo atto dei progressi fatti e delle buone pratiche, ma i risultati raggiunti sono insufficienti e questo vale per tutti gli stati membri», ha detto qui a Bruxelles il commissario agli affari interni Cecilia Malmström, presentando il primo rapporto europeo sul tema. «La corruzione mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche e nello Stato di diritto, danneggia l'economia europea e priva gli Stati di un gettito fiscale particolarmente necessario. La relazione mostra che le azioni intraprese sono lontane dall'essere sufficienti».

Nel suo rapporto la Commissione nota che secondo un recente sondaggio Eurobarometro il 97% degli interpellati in Italia considera che la corruzione è diffusa nel loro Paese (la media europea è del 76%). Il 92% delle imprese italiane crede che il favoritismo e e la corruzione ostacolino la libera concorrenza. Curiosamente, solo il 2% degli interpellati ammette di essere stato oggetto di richiesta di pagamento di una tangente nell'anno precedente il sondaggio. È possibile che la risposta sia stata influenzata dall'imbarazzo di ammettere la verità.

Bruxelles è dell'avviso che l'Italia dovrebbe rafforzare le norme che devono garantire l'integrità dei leader politici e dei pubblici funzionari a livello nazionale, regionale e locale così come le leggi che regolano il finanziamento pubblico dei partiti, in particolare introducendo regole più severe sulle donazioni. Inoltre, il paese «deve astenersi dall'approvare leggi ad personam», che favoriscono il fenomeno della corruzione. La Commissione sembra riferirsi alle vicende dell'ex premier Silvio Berlusconi. Sul fronte giudiziario, la Commissione consiglia anche modifiche alle norme sulla prescrizione, troppo breve in alcuni casi.

Il Paese dovrebbe anche introdurre maggiore trasparenza negli appalti pubblici dare maggiori poteri alla neonata Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità, a cui sono stati affidati compiti di coordinamento dalla legge anti-corruzione adottata nel 2012. La Commissione valuta che i costi della corruzione in Europa siano pari a 120 miliardi di euro all'anno. Una stima per difetto, ha detto la signora Malmström. Anche per questo motivo, oltre che per possibili differenze nei metodi di calcolo, affermare che l'Italia, con i suoi 60 miliardi, rappresenta il 50% della corruzione europea è probabilmente una forzatura.

L'aspetto più interessante che emerge dal rapporto della Commissione è che la corruzione non riguarda solo il settore pubblico, ma anche quello privato. Non solo l'Italia non ha ancora pienamente trasposto una direttiva europea per lottare contro questo fenomeno, ma il paese ha un sistema di contabilità societaria che non rispetta la Convenzione penale contro la corruzione del Consiglio d'Europa. La Commissione non ne parla, eppure più in generale dietro al fenomeno della corruzione si nasconde in Italia la tendenza al clientelismo. Vi sono evidenti differenze, ma il risultato è simile, un ambiente economico e un sistema sociale poco trasparenti.

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