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Questo articolo è stato pubblicato il 03 febbraio 2014 alle ore 13:24.

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Ecco il raddoppio degli impegni a carico delle imprese per contenere le emissioni di anidride carbonica da qui al 2030. Ma ecco anche il rinvio, che potrebbe diventare addirittura un addio, alle annunciate barriere per l'importazione in Europa dei prodotti petroliferi ricavati dalle sabbie bituminose del Canada. Tutto bene? Non proprio. C'è molta incoerenza nelle nuove politiche ambientali dell'Unione europea, denunciano le principali associazioni ambientaliste.

Dopo le polemiche sull'ultimo pacchetto di obiettivi 2030 sul clima e l'energia, che alza ulteriormente i target ambientali accendendo l'allarme sull'ulteriore perdita di competitività del sistema Europa, cresce la polemica sull'uso, anzi sull'abuso, del petrolio «sporco» che in Europa potrebbe avere il via libera. «Sarebbe come se sulla strada del vecchio continente si riversassero improvvisamente 6 milioni di automobili in più», tuonano al di là dell'Atlantico gli ambientalisti statunitensi della NRDC (Natural Resources Defense Council). In Europa i loro colleghi raccolgono l'allarme guadagnando una crescente udienza a Bruxelles. Due sponde, con strategie convergenti.

Cercasi coerenza
Da noi c'è in gioco la coerenza delle politiche ambientali dell'Unione europea. Da loro, in America, è ossigeno per le polemiche che ruotano attorno al grande progetto di costruzione di un mega-oleodotto, il Keystone pipeline, che attraverso sei Stati americani dovrebbe trasportare il bitume liquefatto estratto dalle sabbie canadesi dell'Alberta fino alle raffinerie del Texas e nel Golfo del Messico, per poi canalizzarlo in parte sui mercati europei .
Un doppio fronte di lotta, al di là e al di qua dell'oceano, destinato a tenere banco nelle prossime settimane, quando in Europa si aprirà la fase di implementazione delle nuove proposte ambientali della Ue.

Sta di fatto che mentre la Commissione europea presentava nei giorni scorsi la sua proposta per i nuovi obiettivi climatici al 2030 i suoi strateghi annunciavano contemporaneamente l'intenzione di rinviare (o addirittura lasciar cadere) la bozza di direttiva sulla qualità dei carburanti che punta a ridurre del 6% tra il 2010 e il 2020 le emissioni di Co2 sia dei prodotti raffinati che degli altri derivati del petrolio. Riduzione che deve tener conto, beninteso, dell'intero ciclo di emissione della filiera complessiva degli idrocarburi, che va dall'estrazione al trasporto alla raffinazione e alla combustione finale. Ed è appunto l'esame dell'intera filiera dei carburanti ricavati dalle sabbie bituminosa a far suonare l'allarme, visto che il petrolio così lavorato - rimarcano qui da noi gli analisti di QualEnergia - ha emissioni "dal pozzo alla ruota" superiori del 23% rispetto ai prodotti finali ricavati dal petrolio estratto in maniera convenzionale.

Quale impatto
Le quantità in gioco sono rilevanti. Se la direttiva europea dovesse essere accantonata e dovesse invece procedere il piano di costruzione di nuovi prodotti e delle raffinerie dedicate in Nord America, le importazioni europee di petrolio da sabbie bituminose canadesi e americane potrebbero passare - stima il report della NRDC - dagli attuali 4mila barili al giorno a 725mila nel 2020 per poi piegare solo un po' a 640mila nel 2030. Con un aumento delle emissioni di CO2 nei paesi del Vecchio continente per almeno 32,5 milioni di tonnellate annue, equivalenti appunto alla circolazione di 6,5 milioni di automobili in più. La possibile obiezione sull'allocazione di gran parte di queste maggiori emissioni negli Stati Uniti, ovvero nella prima parte della filiera di lavorazione del petrolio sporco, non ha alcun senso, se consideriamo che gli effetti delle emissioni di CO2 sul pianeta sono totalmente indipendenti dalla loro area di origine. E la loro responsabilità va dunque attribuita a chi utilizza il prodotto finale di ciò che provoca il fenomeno.

Autorizzazioni in stand by
Ferve il dibattito, si moltiplicano gli appelli. L'ultimo si deve a 21 premi Nobel (tra essi Desmond Tutu, Jody Williams, John Hume) che in un documento indirizzato ai leader dell'unione europea chiedono sbloccare la legge che limita l'import in Europa dei prodotti petroliferi ricavati dalle sabbie bituminose sottoponendole perlomeno a un contributo ambientale correlato all'inquinamento generato dalla filiera produttiva. Operazione, va detto, impervia. Per arginare gli ostacoli al loro petrolio non convenzionale i canadesi si appellano alle regole del libero scambio e comunque contestano le valutazioni dei tecnici vicini agli ambientalisti sul livello di emissioni generate dal loro bitume.
Lo stesso presidente Obama ha una bella gatta da pelare nel complesso processo autorizzativo dei nuovi oleodotti e delle nuove infrastrutture di raffinazione legate alle sabbie bituminose. Tant'è che l'amministrazione americana sta rinviando la validazione del progetto, prendendo tempo. Gli analisti prevedono uno slittamento, anche qui. Se ne occuperà, probabilmente, il prossimo presidente degli Stati Uniti. Un rinvio che, combinato con il rinvio di Bruxelles delle paventate misure anti-bitume, potrebbe paradossalmente toglierci le castagne dal fuoco.

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