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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2014 alle ore 06:41.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:57.

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No ai francesi, sì agli arabi. Le prime reazioni al possibile arrivo degli emiri di Etihad nel capitale di Alitalia sono favorevoli. Al contrario delle diffidenze e opposizioni che aveva suscitato il progetto di vendita a Air France-Klm nel 2008. In questa tornata, il dogma dell'«italianità» sembra non stia più a cuore a nessuno. Il progetto di vendita a Air France-Klm, sostenuto dal governo Prodi, fu rigettato da Silvio Berlusconi in una vittoriosa campagna elettorale in nome dell'«italianità» della compagnia, con il concorso – forse a loro insaputa, forse no – dei sindacati, che bocciarono il piano industriale di Jean-Cyril Spinetta. Poi Berlusconi, con l'aiuto di Intesa Sanpaolo e Corrado Passera, fece scendere in campo la Cai, la cordata «italiana» dei Capitani coraggiosi guidata da Roberto Colaninno, vicino al Pd, che acquisì la polpa dell'Alitalia (senza debiti, rimasti alla collettività).

Ora, dopo cinque anni di perdite incessanti per quasi 1,5 miliardi di euro, i «patrioti» si sono arresi e cercano nuovi capitali. L'intervento statale delle Poste nel piano di salvataggio, con 75 milioni, non basta a mettere al sicuro l'Alitalia. Così è partita la caccia al «partner», visto che Air France-Klm si è ritirata dalla ricapitalizzazione di 300 milioni conclusa in dicembre, perché sostiene che il piano industriale non può reggere il peso dei troppi debiti.

L'a.d. di Alitalia, Gabriele Del Torchio, arrivato dalla Ducati il 6 maggio 2013, fama di venditore di aziende, ha avuto l'abilità di stuzzicare una delle compagnie più ricche del mondo, Etihad (in arabo significa «unione»), vettore di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, che si sta creando una rete di aviolinee satelliti attraverso un giardinetto di partecipazioni, dall'Europa all'India all'Australia.

Etihad potrebbe investire fino a 300-350 milioni di euro con un aumento di capitale e acquisire al massimo il 49,9% dell'Alitalia. Di più non è possibile, per le norme comunitarie la maggioranza del capitale deve essere posseduta da azionisti dell'Unione europea, pena la perdita dei diritti di traffico in tutta la Ue (e anche in Italia). E inoltre, per i trattati bilaterali con gli altri paesi, la maggioranza di Alitalia deve essere di soci italiani, altrimenti la compagnia non potrebbe fare voli extra-Ue.

In ogni caso, se al termine del negoziato Etihad decidesse – come molti si augurano – di entrare in Alitalia, lo farebbe da padrona. Quindi, addio «italianità», per chi dà (o dava) importanza a questo principio. Etihad sarebbe comunque il primo azionista di Alitalia (oggi è Intesa con il 20,59%), come lo è per esempio in Air Berlin con il 29,2% o nell'indiana Jet Airways con il 24%: in queste compagnie l'a.d. di Etihad, James Hogan, ha imposto un nuovo amministratore delegato, un piano industriale, una ristrutturazione delle rotte incentrata su una rete regionale.

I giudizi favorevoli all'arrivo di Etihad sono basati sull'aspettativa che i soci arabi iniettino capitali per potenziare l'Alitalia e sviluppare i voli con l'estero. Tra questi c'è il segretario generale della Cisl Bonanni, nel 2008 fiero oppositore di Air France. Tuttavia i contenuti industriali dei colloqui tra Hogan e Del Torchio non sono conosciuti. Eppure questo è il punto fondamentale per valutare se l'arrivo degli emiri potrà imprimere uno sviluppo all'Alitalia, con un aumento in particolare dei collegamenti intercontinentali. Cioè proprio il settore che – al contrario di quanto hanno fatto le grandi compagnie nazionali in Francia, Germania, Gran Bretagna – è stato sacrificato nei cinque anni di gestione dei Capitani coraggiosi, un errore, hanno riconosciuto negli ultimi mesi anche azionisti come Gilberto Benetton e il presidente Colaninno (ma prima dov'erano?). La scarsità di voli diretti verso Nordamerica, Asia, Estremo oriente, è una limitazione alla possibilità di sviluppo dell'Italia, di attrarre turisti, imprenditori, investitori. Per cercare di leggere le possibili mosse di Etihad è utile un confronto con Alitalia. Il vettore arabo non pubblica tutto il bilancio (non c'è piena trasparenza sui conti), si sa che dispone di grande ricchezza e cresce rapidamente, dal 2009 al 2013 i passeggeri sono aumentati del 90% a 12 milioni, mentre Alitalia li ha aumentati dell'8% circa a 23,5 milioni. Dal 2009 al 2012 i ricavi di Etihad sono aumentati del 109%, quelli di Alitalia del 27 per cento.
Etihad raggiunge 102 destinazioni con voli diretti, Alitalia ne dichiara 82. Alitalia ha una flotta operativa di 137 aerei, ma solo 22 sono jet a lungo raggio. Etihad ha 89 aerei, di cui 56 per il lungo raggio: quindi ha una potenza di fuoco per voli intercontinentali pari a 2,5 volte l'Alitalia. E, particolare ancor più importante, ha ordini per altri 220 aerei, di cui 168 per il lungo raggio. Alitalia non ha alcun ordine per nuovi aerei.

Secondo fonti vicine all'Alitalia nei piani è previsto un potenziamento dei voli, soprattutto da Fiumicino, per il Nord America, il Sud America, l'Africa. C'è da augurarlo all'Alitalia e all'Italia. È bene notare tuttavia che Etihad ha già propri voli diretti per il Nord America dal suo scalo base, Abu Dhabi, dal primo marzo raddoppierà a due al giorno i voli diretti Abu Dhabi-New York, inoltre vola a Chicago e Washington. Da giugno volerà a Los Angeles. Ultima considerazione: per aumentare i voli intercontinentali servono nuovi aerei, che Alitalia non ha. Un jet a lungo raggio costa almeno 200 milioni di euro. Con i 300 milioni di aumento di capitale che potrebbe mettere Etihad Alitalia non potrebbe volare lontano. Per un rilancio vero servirebbe almeno un miliardo di euro. Altrimenti il destino rischia di essere quello di una compagnia regionale.

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