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Russia, Giochi d'azzardo a Sochi

KRASNAJA POLJANA - L e previsioni meteo sono impietose: "coperto", "sereno", "pioggia", bene che vada si scende a -1. Eppure a Krasnaja Poljana di neve ne era caduta tanta, nascondendo i prefabbricati e le ruspe e trasformando i boschi nella fiaba d'inverno che Vladimir Putin vuole mostrare al mondo. Scenari all'ordine del giorno altrove, in Russia: mentre qui, a pochi giorni dall'arrivo della fiaccola, una pioggia implacabile gonfia la neve lasciandola grigia e stanca, e gli impianti che partono da Rosa Khutor si tuffano nella nebbia con un'aria da fine stagione in bassa montagna.

E non è tutto: giù dalla valle, scendendo verso la costa, l'aria si impregna dell'umidità del mare, scatenando proteste per l'impatto che avrà sul ghiaccio dei bellissimi impianti costruiti per pattinaggio e hockey. Grandiosi - brontolano gli atleti - ma così le lamine non scorrono. Lassù tra i monti il problema potrà essere risolto da un imponente sistema di innevamento artificiale e dalle tonnellate di neve immagazzinate dall'anno scorso, ma qui?
Polemiche e battute sull'opportunità di organizzare Olimpiadi invernali tra le palme di Sochi non mancano, eppure la scelta di Putin nasce proprio dall'unicità del posto, mare e monti a pochi passi l'uno dagli altri. «Nel 2007 - ricorda Evghenij, tutta la vita passata tra Sochi e le montagne - attendevamo la commissione del Cio che avrebbe dovuto scegliere tra Russia e Corea del Sud (Pyeongchang era l'altra località rimasta in lizza per i Giochi 2014, ndr). Là erano preparatissimi, ma non c'era neve. A Krasnaja Poljana invece, mezzo metro quell'anno! Hanno visto il sole caldo di Sochi e qui tanta neve, tutto quello che serve. C'erano dei francesi, di certo hanno anche apprezzato la cucina e il vino del Caucaso…Vladimir Vladimirovich (Putin, ndr) disse: abbiamo fatto tutto noi. Ma come? È stata la natura a dire sì».
Poi, probabilmente si è pentita. «L'hanno uccisa», sospira Evghenij raccontando di prati distrutti dai cantieri, di renne e orsi spaventati dal rumore degli elicotteri e fuggiti in Abkhazia o in Karachaevo-Circassia, le terre del Caucaso più vicino. I villaggi attorno a Sochi, cui è stata promessa la bonifica delle discariche in cui hanno gettato anche quel che non si doveva, stanno ancora aspettando, ma gli ambientalisti pensano che il prezzo più alto lo abbia pagato il fiume Mzymta, che da Rosa Khutor scorre grigio-marrone di cemento e fango fino alla costa. «Ricordo come era prima, l'acqua era blu - dice Julia Vasileva, general manager del complesso residenziale Katerina Alpik, a Krasnaja Poljana -. Poi, quando hanno iniziato le costruzioni, l'acqua è cambiata. Ma la natura è fatta così, con il tempo il fiume tornerà pulito».
Magari fosse così semplice risolvere gli interrogativi che si addensano sui Giochi: scegliendo Sochi Putin non ha sfidato solo il meteo, ma tutti gli dei dell'Olimpo messi insieme. Mai un'Olimpiade è stata organizzata in un'area tanto "calda". La jihad contro Mosca è nata al di là di queste montagne che oggi parlano di slalom, Grozny è a 480 km da Sochi: il rischio di un attentato è stato l'azzardo più incredibile del presidente russo. Che non si scompone: «Conosciamo perfettamente la minaccia e il modo per combatterla», dice Putin anche se colpendo Volgograd tre volte i terroristi hanno avvertito che fanno sul serio. Per loro umiliare lo Zar davanti al mondo è un'occasione unica, per lui la celebrazione della sua Russia proprio qui, nel punto più vulnerabile del Paese, è l'asserzione del potere di Mosca fino all'ultimo angolo dell'impero. Chi vincerà?
Gli estremisti islamici non sono i soli a considerare sacrileghe gare che calpestano le ossa dei loro martiri. Tra le valli di Sochi affiora la storia di una terra contesa, strappata a popoli come i circassi che ora, ridotti a un pugno di abitanti, dallo Stato russo non vengono considerati neppure per una piccola parte nella cerimonia di inaugurazione dei Giochi. Almeno, così si dice: sullo spettacolo che si preannuncia grandioso, trojke e galeoni con un ruolo di primissimo piano inevitabilmente per Putin (l'ultimo tedoforo?), è mantenuto un riserbo totale. Sarà il centro di tutto, prenderà per mano chi è rimasto ancora ai tempi di Mosca 1980 per mostrargli come è cambiata la Russia ora che è un Paese aperto, moderno, allegro come i colori delle divise dei volontari o come i sorrisi degli agenti della sicurezza davanti alla funivia.
Ha imparato a sorridere perfino un ufficiale dell'Fsb (l'ex Kgb) al confine con l'Abkhazia, 10 minuti dal Villaggio olimpico per entrare in una terra di cui solo la Russia riconosce l'indipendenza, strappata alla Georgia nell'agosto 2008. In auto non si passa: il confine è stato chiuso per sicurezza complicando la vita agli abkhazi che vengono in Russia a fare scorte o a cercare lavoro, insieme alle migliaia di immigrati che lo stadio Fisht non illuminerà, malgrado siano stati loro a costruirlo. I rapporti di Human Rights Watch denunciano storie di abusi, operai costretti a dormire e a mangiare in condizioni impietose, sfruttati e a volte espulsi dal Paese senza essere pagati. Sono le vere vittime di Sochi: l'ultimo gradino nel vespaio di corruzione, subappalti, espropri, faide tra intermediari e sprechi a cui da Mosca Aleksej Navalnyj ha dato un ordine, riassumendo l'intreccio di affari che Putin avrebbe garantito agli amici imprenditori. Consentendo loro di arricchirsi con i contratti più lucrosi, un bottino di 51 miliardi di dollari. E non è vero, dice Navalnyj, che Stato e privati abbiano diviso equamente il costo: secondo il blogger anti-corruzione quasi tutto il carico è stato sostenuto dalle grandi corporation di Stato o dai prestiti agli oligarchi che mettono a rischio i bilanci della Veb, la banca statale dedicata allo sviluppo dell'economia.

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