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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2014 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 05 febbraio 2014 alle ore 09:33.

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«È nostro diritto-dovere dire ciò che serve per far ripartire il paese. Siamo disponibili alla massima collaborazione e accettiamo qualsiasi tipo di confronto, ma i nodi dell'economia reale vanno affrontati subito, non abbiamo più tempo per aspettare». Giorgio Squinzi parla a braccio, durante l'audizione alla Commissione bicamerale per la semplificazione. La complessità della pubblica amministrazione è uno dei vincoli che rende difficile la vita delle imprese: «l'Italia è ostaggio di una burocrazia soffocante, bisogna invertire una rotta che altrimenti ci porterà alla deriva e poi al naufragio».

Burocrazia, ma anche un fisco «punitivo, complicato e incerto, che assoggetta l'impresa a migliaia di adempimenti e altrettanti controlli». Quando invece è proprio l'impresa su cui bisogna puntare per uscire dalla crisi. Le riforme istituzionali, ha aggiunto il presidente di Confindustria, vanno fatte, «ma non sono sufficienti, l'economia reale ha bisogno di interventi molto, molto più rapidi». Bisogna recuperare il calo di 9 punti di Pil dal 2007 ad oggi, il -25% di produzione industriale, dare risposte agli oltre 3 milioni di disoccupati e a quel 40% di disoccupazione giovanile, va affrontato il «desolante» crollo dei consumi interni.

«Dateci chiarezza, un paese normale e rivedremo la crescita, non aspettiamo altro che poter far vedere cosa siamo capaci di fare come sistema delle imprese italiane, ritroveremo lo spirito del dopoguerra che ci ha portato al miracolo economico». Nessun riferimento, nè durante l'audizione, nè parlando a margine con i giornalisti, alle parole del premier e a quelle del presidente della Repubblica. «Parlo solo di semplificazione. E comunque il presidente ha sempre sempre ragione», ha glissato Squinzi a una domanda sulla frase di Giorgio Napolitano sui «segni di ripresa indiscutibili».

Sono le imprese che creano il lavoro: «soltanto puntando sull'industria - ha detto il presidente di Confindustria durante l'audizione - l'Italia e l'Europa possono riavviare un percorso di crescita stabile e duraturo. Questo lo hanno capito i nostri concorrenti, che hanno messo al centro delle proprie politiche l'industria, semplificando e riducendo i costi a carico delle imprese, esattamente l'opposto di ciò che avviene in Italia».

I dati e le classifiche dimostrano come la complicazione burocratica sia una delle principali cause dello svantaggio competitivo. «Uno svantaggio che sento pesante sulla mia pelle di imprenditore», ha aggiunto, raccontando degli anni, 8 e 7, che ha dovuto aspettare per l'ampliamento di due stabilimenti Mapei, in provincia di Milano e di Latina.

«Attendere anni vuol dire impedire a un'impresa di nascere e crescere, di creare posti di lavoro». Il paradosso, ha aggiunto, è che sulle analisi tutti concordano. Poi quando si tratta di ridurre l'impatto della macchina burocratica tutto si rallenta, c'è chi dice «e non siamo noi» per un clima di sospetto ideologico nei confronti dell'industria. «Negli ultimi anni la semplificazione è diventata un mantra per qualsiasi governo», ma dal 2008 a oggi delle svariate disposizioni che dovevano portare al risultato della «burocrazia zero» nessuna è stata attuata in via amministrativa. Squinzi su questo punto ha lasciato alla Commissione una tabella riepilogativa del «desolante stato dell'arte». Esempio citato, quello degli sportelli unici delle attività produttive, «misura che avrebbe dovuto dare una svolta e che non ha prodotto risultati percepibili». Squinzi ha denunciato una «corsa alle norme», un «insieme di prescrizioni che generano ostacoli e incertezze». Una descrizione che è «la fotografia di un disastro che continua a far male alle imprese e al paese ed è uno dei fattori più significativi della grave stagnazione che ci attanaglia da anni». Altro esempio, la concessione dell'Aia, che necessita di più tempo rispetto agli altri paesi, e dura di meno, oltre a essere diversa nel paese anche tra Regioni e province.

Serve certezza del diritto, vanno ridotti gli oneri per le imprese, occorre una riforma del Titolo V della Costituzione, per ridefinire il perimetro dello Stato. Quanto al fisco, ancora si attende il varo definitivo della delega fiscale. Un fisco vessatorio, che assoggetta l'impresa a migliaia di adempimenti. «Ma tutto questo è servito a contrastare l'aggiramento degli obblighi fiscali? I numeri dicono di no», è la conclusione di Squinzi. Che ha esortato la politica a riprendere controllo e forza rispetto alla burocrazia. Mettendo al centro l'impresa. Secondo il vicepresidente di Confindustria, Aurelio Regina, ospite in serata a Ballarò: «Il governo deve impegnarsi come ha detto alle Camere. Non possiamo essere accusati di disfattismo solo perché stiamo mettendo in luce la situazione del Paese».

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