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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2014 alle ore 11:27.

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Bill Russell (Afp)Bill Russell (Afp)

Dire che Michael Jordan sia stato il più grande giocatore di basket di tutti i tempi è sostenere una tesi quasi inconfutabile. Ma dire che Bill Russell sia stato grande quanto lui significa sostenere una tesi altrettanto degna, senza che nessuno possa permettersi di darvi del pazzo.

Perché William Felton "Bill" Russel, nato a Monroe il 12 febbraio 1934, ha segnato in modo indelebile la storia della pallacanestro facendo vedere al mondo come avrebbero giocato, o meglio tentato di giocare, i centri che sarebbero nati quarant'anni dopo di lui.

Che il basket non fosse più lo stesso, dopo la comparsa di Russell, divenne chiaro fin dai tempi dell'Università: due titoli Ncaa, con San Francisco, e soprattutto con una striscia ininterrotta di 55 vittorie consecutive.

Le porte dell'Nba erano spalancate, ma Bill coltivava il sogno olimpico: rinviò l'ingresso tra i professionisti e ci andò da capitano, segnando una media di venti punti a partita, conditi da una ventina di rimbalzi. Medaglia d'oro, ovviamente, con uno scarto medio a gara di 53,5 punti.

Raccontare il gioco di Bill Russell fa correre il rischio di essere scambiati per mitomani, per narratori di leggende metropolitane più che di storie di sport: eppure è tutto vero. Alto (2,08) ma non altissimo come il suo rivale e amico Wilt Chamberlain che era due metri e 17, esprimeva una velocità, elasticità, rapidità, scelta di tempo e capacità di anticipo che restano ancora oggi inarrivabili. Mai più riviste tutte insieme in un solo giocatore, forse nemmeno in Michael Jordan.

Non era un grande attaccante, ma non aveva bisogno di far miracoli per segnare tanto: gli bastava prendere i rimbalzi, e quelli erano tutti suoi. Fu il primo giocatore a tenere una media di oltre 20 rimbalzi a partita, e seppe ripetere l'impresa per ben dieci volte in 13 anni di Nba. Ancora oggi è il miglior rimbalzista nella storia dei play-off, con 24,9 di media. Suo è il record di rimbalzi catturati in metà partita (32).

Sapeva difendere come nessun altro, contenendo il centro avversario e, nello stesso tempo, aiutando sull'uomo del compagno più vicino. Un difensore per due attaccanti, come non si sarebbe più visto nemmeno negli anni a venire. Al punto che i suoi compagni, sapendo che c'era lui a presidiare l'area, si concedevano la libertà di portargli gli avversari fin sotto il naso dove, inevitabilmente, li avrebbe stoppati.

Al tempo non c'erano le statistiche, sulle stoppate, ma gli esperti dell'epoca sono concordi nel ritenere che almeno una decina a partita siano un numero "cautamente" accettabile.

Più che le sue statistiche individuali a Bill Russell interessavano i risultati di squadra: in 13 anni di Nba vinse 11 anelli, tutti con i Boston Celtics, gli ultimi due da allenatore-giocatore sostituendo in panchina il mitico Red Auerbach. Per capire quale fosse il suo peso nella squadra basta dire che l'anno dopo il suo ritiro (vincendo il titolo) i Boston chiusero la stagione mancando l'accesso ai play-off.

Cinque volte Mvp dell'Nba, non riuscì a vincere il titolo di Mvp delle finali solo perché il premio fu istituito nel 1969, l'anno del suo addio. Dal 2009 quel premio è dedicato a lui e si chiama «Bill Russell NBA Finals Most Valuable Player Award».

Domani, 12 febbraio, compie ottant'anni. Nel fare gli auguri a uno dei pochi che può permettersi di guardare Michael Jordan stando seduto nello stesso Olimpo, ricordiamo un aneddoto che pochi conoscono, e che è ben ricordato da Federico Buffa nel libro "Dream Team" (consiglio la lettura a ogni appassionato di basket).

Dopo aver perso in modo ignobile i Mondiali del 1963 di Rio de Janeiro, mandando una selezione mista di giocatori scadenti e militari, gli Usa decisero di far capire al mondo che il basket vero, quello dell'Nba, era un'altra cosa.

Organizzarono una serie di partite in giro per il mondo, con particolare attenzione ai Paesi dell'Est Europa che avevano avanzato più di un dubbio sull'effettivo dominio americano. La squadra che nacque, affidata a Red Auerbach, fu a tutti gli effetti il primo Dream Team. Bill Russel ne faceva ovviamente parte, insieme ad altri tipetti del calibro di K.C. Jones, Oscar Robertson e Bob Cousy. La storia dell'Nba, tanto per essere chiari.

Quando incontrarono la Jugoslavia alle cure di Bill Russell fu affidato un giocatore biondo considerato uno dei migliori al mondo: Radivoje Korac. Si, proprio il Korac a cui venne poi intitolata la Coppa Korac. Era stato uno dei migliori anche al Mondiale di Rio de Janeiro, segnando valanghe di punti a ogni partita. Non era un centro, ma un'ala, e con la sua rapidità avrebbe dovuto creare più di un problema a Russell, che invece era un centro puro.

I primi sei tentativi di tiro di Korac finirono in tribuna: sei azioni, sei stoppate. Jugoslavia battuta di una cinquantina di punti. Benvenuti nell'Nba. Benvenuti nel regno di Bill Russell.

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