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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2014 alle ore 12:47.
L'ultima modifica è del 13 febbraio 2014 alle ore 23:23.
Parte la nuova caccia al tesoro, petrolifero. Terreno di sfida: il mare Adriatico. Due contendenti, Italia e Croazia. Un solo vincitore designato, la Croazia. Per abbandono preventivo del concorrente, causa timidezza. Inettitudine, secondo alcuni. Mentre noi ci trasciniamo da alcuni decenni tra dubbi ecologici e opposizioni locali l'enorme patrimonio di petrolio e gas del Mare Adriatico si avvia dunque ad avere un nuovo padrone: Zagabria. Che dopo anni di riflessione ora vuole far presto. Molto presto. Tant'è che la marcia prosegue tappe forzate.
La prima fase, quella delle esplorazioni, si è conclusa ad opera della società specializzata norvegese Spectrum. E nei giorni scorsi il governo croato ha fatto outing: vicino alle sue coste, ma anche nella enorme area marina condivisa con l'Italia, c'è un vero tesoro. E sarà la Croazia – promettono e sostengono - a dare fondo alle estrazioni e relativi affari. Già da aprile i primi bandi internazionali tra le grandi società petrolifere. Tutti i maggiori player si sono detti interessati, e hanno già acquisito la documentazione di base.
Anche la nostra Eni? Dal cane sei zampe, che in Adriatico ha quel poco di piattaforme petrolifere attive ereditate dai tempi migliori, viene un sì a denti stretti, sull'onda di una futura attività che sarà nel caso messa al servizio, nelle stesse aree, di un altro paese. Un paese, vale la pena ricordarlo, che è appena entrato nell'Unione europea, che è obbligato a dimostrare a Bruxelles di poter riequilibrare i suoi conti un po' traballanti. E che ha la ferma intenzione di diventare ricco, o almeno un po' più ricco, proprio con questo business.
Potenziale "consistente"
I dati sulla morfologia del sottofondo marino raccolti lungo 15mila chilometri quadrati al largo della costa adriatica croata «indicano l'esistenza di giacimenti molto consistenti», ha appena affermato a Spalato il ministro dell'economia croato, Ivan Vrdoljak. Che conferma l'imminenza dei primi bandi di gara rivolti agli operatori internazionali. Anche se – precisa - il governo deve ancora stabilire il prezzo delle concessioni, definire la mappa delle superfici in cui saranno divise e perfino i criteri con i quali gli affidamenti saranno vagliati. Il governo di Zagabria è comunque impegnato in una progressiva revisione della disciplina delle concessioni nel segno della liberalizzazione e della semplificazione, proprio per oliare i nuovi affari.
Le potenzialità del business? « Miliardi di dollari per le entrate dello Stato» azzarda il ministro dell'economia. Di più: la Croazia potrebbe essere uno dei pochi paesi europei che possiedono più risorse di petrolio e gas del loro fabbisogno «tanto da poter diventare entro la fine di questo decennio una piccola Norvegia, proponendosi come hub energetico per l'intero quadrante europeo». Con giacimenti «potenzialmente enormi - conferma il presidente della Spectrum, Rune Eng -. Anche perché, al di là delle quantità di idrocarburi che sembrano esistere nell'area, si tratta di un mare non molto profondo che consente una riduzione notevole dei costi delle piattaforme per l'estrazione rispetto ad altre parti del mondo come l'Africa o il Brasile».
Le rassicurazioni di Bruxelles
Tanto attivismo non piace, naturalmente, a chi qui da noi è impegnato a frenare le attività petrolifere. La deputata di Sel, Lara Ricciatti, ha presentato un'interrogazione parlamentare ai nostri ministri degli Esteri e dello Sviluppo chiedendo di chiarire la posizione del governo sulle possibili conseguenze delle attività petrolifere annunciate dalla Croazia. Iniziative «con un potenziale dirompente, al punto di vanificare - sostiene la parlamentare - il buon lavoro per la costruzione della macroregione Adriatico ionica fatto negli ultimi anni» anche «per salvaguardare l'area adriatica da possibili rischi di inquinamento».
L'eurodeputato del Pd Andrea Zanoni chiama in causa direttamente la Commissione europea denunciando «la pericolosità dei metodi impiegati» dalla Spectrum per le prospezioni in Adriatico «con l'emissione ogni 10 secondi di un muro di onde sonore di 240-260 decibel che rappresentano una fonte di inquinamento acustico subacqueo con possibili effetti negativi sul prezioso ecosistema marino». Ha subito risposto il commissario Ue all'ambiente, Janez Potocnik. Che rassicura: gli Stati membri, dunque anche la Croazia, «devono adottare provvedimenti che vietino di perturbare deliberatamente le specie marine rigorosamente tutelate come cetacei e le tartarughe, in conformità con la direttiva habitat».
La Commissione Ue fa comunque sapere che vigilerà con rigore. Gli strumenti ci sono tutti. Dopo il disastro del Golfo del Messico nel maggio dello scorso anno il Parlamento europeo ha infatti approvato un rapporto che impone nuovi standard di sicurezza nelle operazioni offshore. Sono previste in particolare norme che obbligano le aziende a provare la loro capacità di coprire i danni potenziali eventualmente derivanti dalle attività di estrazione. E deve essere comunque presentata una relazione sui possibili pericoli e sulle soluzioni da adottare prima che le operazioni possono cominciare. Le società petrolifere sperano. Gli ambientalisti incrociano le dita.
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