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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2014 alle ore 13:19.
L'ultima modifica è del 16 febbraio 2014 alle ore 13:22.

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Moqtada al Sadr. (Reuters)Moqtada al Sadr. (Reuters)

Erede di una famiglia di ayatollah - il padre, lo zio e due fratelli furono uccisi da Saddam Hussein - Moqtada, sposato con una cugina, senza figli, vive a Najaf, la città del Vaticano degli sciiti iracheni. Riceve le nostre domande in un ufficio accanto alla cupola d'oro del mausoleo di Alì dove due delle quattro porte sono riservate a questo giovane con il turbante nero dei Seyed, segno distintivo dei discendenti di Maometto. «Ho fatto testamento e comprato la stola di cotone bianco che adorna i defunti - confida nervosamente - perché americani, saddamisti e terroristi mi vogliono morto».

Il vostro partito si è autosospeso dal Governo perché contrario al vertice Bush-Maliki, mentre l'altro leader sciita, Abdul Aziz al-Hakim, incontrerà il presidente americano. Qual è il vostro obiettivo? Continuare l'azione politica o affidarvi esclusivamente alle armi?
Non rientreremo al Governo fino a quando gli Stati Uniti non cederanno tutti i poteri sulla sicurezza agli iracheni. Se a gennaio questo non avverrà, e Bush non comincerà il ritiro dei suoi soldati, lanceremo la Jihad, la Guerra Santa, contro gli americani. E all'inizio del 2008 in questo Paese non ci dovrà essere più un solo marine. Il premier al-Maliki è un elemento puramente decorativo, non ha alcun potere reale. Con lo Sciri di al-Hakim abbiamo stretto un accordo attraverso la mediazione dell'ayatollah Alì al-Sistani (leader spirituale degli sciiti, ndr). Vedremo se resiste e cosa succederà.

Il 2008 viene suggerito a Bush come data del ritiro anche dalla commissione Baker, cosa ne pensa?
Non mi interessa cosa dice la commissione Baker. Non conosco l'inglese, non leggo i giornali americani e non guardo la tv. Noi abbiamo la nostra agenda. È stato lo stesso Bush a dire che se occupassero il suo Paese entrerebbe nella resistenza. Io sono un arabo musulmano che vuole andare in Paradiso e quindi farò la Guerra Santa contro gli occupanti: la Jihad è uno degli obiettivi più importanti della nostra religione.

Ma intanto l'Iraq sta sprofondando nella guerra civile.
Se gli Stati Uniti si ritirano non ci sarà guerra civile. Odio l'America perché ha importato il terrorismo in Iraq: continuerà a scorrere un fiume di sangue finché ci saranno soldati stranieri. Noi siamo pronti a parlare con i sunniti moderati. Ma ci stiamo anche preparando a una grande battaglia contro i sunniti sostenuti dai terroristi e da al-Qaida. Loro hanno voluto la guerra quando nel febbraio scorso hanno distrutto la moschea di Samarra, dopo che bin Laden ha approvato un fatwa per ammazzare gli sciiti. Quella è stata la svolta. Il capo degli ulema sunniti, Haret al-Dhari (sul quale pende un mandato d'arresto, ndr), appoggia al-Qaida e ha impedito la ricostruzione della moschea di Samarra facendo uccidere tecnici e operai che avevo mandato con i soldi raccolti tra i fedeli di Najaf e Kerbala. È amico dei sauditi che hanno dichiarato di essere pronti a finanziare i terroristi sunniti. Sono stato per un giro diplomatico nei Paesi arabi: ho constatato che sono tutti nemici degli sciiti.

Le sue milizie sono accusate di violenze e uccisioni, di voler cacciare i sunniti da Baghdad, di aver costituito "squadroni della morte". È in base a queste accuse che vorrebbero scioglierle: cosa risponde?
Gli squadroni della morte li ha fondati Paul Bremer (l'ex proconsole americano a Baghdad, ndr). L'esercito del Mahdi difende gli sciiti dai massacratori sunniti. È impossibile scioglierlo perché non è un esercito regolare o politico, è formato da medici, ingegneri, professori, commercianti che ci aiutano finanziariamente, e soprattutto da volontari non pagati che quando non sono attivi stanno a casa loro. Non abbiamo caserme o campi di addestramento. E poi questo è un esercito religioso che prende il nome dal 12° Imam (scomparso nel nono secolo a Samarra) e che tornerà nei prossimi anni qui vicino, a Kufa, per cambiare il mondo. L'esercito è stato organizzato per accoglierlo. È stato fondato per combattere al-Djalal, il Satana, che oggi ha le sembianze di Bush.

Dicono che ricevete armi, addestramento e finanziamenti dall'Iran e dagli Hezbollah libanesi.
È vero il contrario: nell'ultima guerra contro gli israeliani in Libano abbiamo inviato 270 membri del nostro esercito a combattere con gli Hezbollah del mio amico Nasrallah. Ma dall'Iran non riceviamo neppure un toman (la moneta iraniana, ndr). Le nostre armi le abbiamo prese dai depositi che aveva lasciato il regime di Saddam. Se dal confine iraniano arrivano armi non sono per noi ma per altri.

Alcuni partiti si sono espressi per un Iraq federale: qual è il suo progetto, uno Stato islamico?
Ci opponiamo a tutte le divisioni federali, anche il Kurdistan deve restare in Iraq. Quanto allo Stato islamico, farlo subito è inutile. Prima bisogna costruire una società islamica, una nazione pienamente musulmana. Nell'ultimo Ramadan qui molta gente non osservava neppure il digiuno.

(L'intervista è stata realizzata con la collaborazione, a Najaf, del giornalista Seyed Sadiq Sattar al-Hosayni)

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