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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2014 alle ore 12:37.
L'ultima modifica è del 28 febbraio 2014 alle ore 11:42.

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È un'immagine di devastante desolazione questa folla di palestinesi con gli occhi bassi e i volti emaciati che escono dall'assedio del campo profughi di Yarmouk a Damasco per ricevere i primi aiuti dell'Unwra, l'agenzia dell'Onu: a decine di migliaia sono rimasti intrappolati per mesi senza cibo e medicine, divorandosi persino i topi per sopravvivere, come a Stalingrado. «Dentro a Yarmouk neppure una casa è rimasta in piedi, non c'è un muro che non sia annerito dall'esplosione delle granate e dei proiettili», è la testimonianza del capo dell'Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, l'italiano Filippo Grandi. «Yarmouk - aggiunge Grandi- è una città di fantasmi, in preda alla paura dopo mesi e mesi di combattimenti».

Questa è l'ultima tragedia palestinese. Una guerra fratricida tra i sostenitori di Assad e i gruppi dell'opposizione: il campo di Yarmouk è una vera e propria città a circa otto chilometri dal centro di Damasco, fondata alla fine degli anni Cinquanta dove vivevano fino a tre anni fa circa 120 mila palestinesi, in condizioni tra l'altro assai migliori rispetto a molti altri campi profughi del Libano o della Giordania. I palestinesi in Siria frequentavano le scuole, le università, potevano lavorare e condurre esercizi commerciali. In un certo senso si sentivano più fortunati di altri e non avevano dovuto vivere altre fughe e migrazioni come per esempio i palestinesi in Iraq, costretti ad abbandonare le loro case dopo la caduta di Saddam Hussein.

Dopo che Khaled Meshal e Hamas avevano abbandonato il regime di Bashar Assad, che li aveva foraggiati e protetti per anni, le divisioni tra i palestinesi si sono trasferite qui con feroci battaglie tra fazioni opposte: da una parte i ribelli aderenti al Free Syrian Army, dall'altra il Fronte di liberazione della Palestina-Comando Generale fondato da Ahmed Jibril.

A Yarmouk con la guerra civile siriana si è consumato un altro doloroso capitolo delle divisioni palestinesi. I volti di questi uomini e donne disperati e umiliati sono il simbolo di un'altra tragedia nella tragedia di un popolo da settant'anni senza uno Stato.

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