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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2014 alle ore 15:44.

Dopo dieci anni la Cia (Confederazione italiana agricoltori) ha cambiato vertice. Alla presidenza è stato eletto Dino Scanavino, 53 anni, produttore vitivinicolo e vivaistico di Asti che succede così a Giuseppe Politi. Un cambio nel segno della continuità perché la strategia associativa resta ben salda su alcuni punti : internazionalizzazione, aggregazione per contare di più in un mercato globale, tutela dei redditi degli agricoltori, unità delle associazioni.
L'associazione chiede al governo un vera politica agraria
La Cia ha così rilanciato al governo la richiesta di una vera politica agraria per il settore che, secondo l'organizzazione, in questi ultimi anni è completamente mancata, aggravando la crisi del settore. Il risultato è che nonostante i segnali anticiclici dell'agricoltura, oltre 100mila imprese sono state costrette a chiudere i battenti.
Sotto accusa la burocrazia: in agricoltura un costo di 7 miliardi l'anno
Colpa delle difficoltà del mercato interno, ma anche di una burocrazia che sta mettendo a dura prova il tessuto imprenditoriale italiano. Costi elevati, farraginosità dei rapporti con la Pubblica amministrazione costano all'agricoltura, secondo il rapporto presentato oggi dalla Cia, oltre 7 miliardi all'anno. Ogni azienda agricola è costretta a «investire» per ogni ora di lavoro due euro, 20 al giorno che equivalgono a oltre 7mila euro al mese.
«Un carico asfissiante – ha sottolineato il neo presidente – che costringe ogni imprenditore agricolo a produrre nei 365 giorni materiale burocratico cartaceo che, messo in fila, supera i 4 chilometri e ha un peso che sfiora i 25 chili. Non basta. Occorrono otto giorni al mese per riempire i documenti richiesti dalla Pubblica amministrazione centrale e locale. In pratica, cento giorni l'anno. Un compito che difficilmente l'imprenditore agricolo può assolvere da solo e, quindi, nel 65% dei casi è costretto ad assumere una persona che svolge questa attività o, per il restante 32% a rivolgersi a un professionista esterno, con oneri facilmente immaginabili».
Il 25% delle imprese ha bloccato gli investimenti, il 10% ha chiuso
Una rete che ingabbia le aziende agricole bloccando attività e investimenti. Il 25,5% delle aziende infatti ha dichiarato di aver rinunciato a realizzare piani di ammodernamento e quasi il 19% degli agricoltori ha sostenuto di aver dovuto ridurre la produzione. Un altro 10% ha chiuso i battenti. A «pesare» sono soprattutto gli adempimenti specifici del settore, ma un ostacolo è rappresentato anche dagli oneri contributivi e previdenziali.
E ci sono poi i tempi biblici delle pratiche.
Per il futuro più integrazione con tutta la filiera
Per questo la parola d'ordine è semplificare. «E Agrinsieme (il coordinamento costituito con Confagricoltura e Alleanza delle cooperative agroalimentari ndr) – ha spiegato Scanavino – ne è un esempio, poiché nasce dalla scelta di lavorare uniti rompendo le logiche della frammentazione. Credo che abbiamo dato un segnale di anticipo sulla politica. Un segnale di concretezza, perché questo patto copre praticamente tutta la filiera agroalimentare e i suoi problemi, che finiscono per riflettersi anche su quelli di chi va a fare la spesa. Agrinsieme resta una via obbligata: solo insieme si può far pesare di più l'agricoltura e affrontare in maniera adeguata questioni ataviche e nuove sfide del settore».
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