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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2014 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:16.

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Nel 2012 l'Italia ha pagato 16 miliardi alla Unione europea e ne ha ricevuti 11, in maggioranza fondi per la coesione e per l'agricoltura. Non c'è niente di male in questo: in passato l'Italia è stata beneficiaria netta, ora i fondi affluiscono soprattutto ai nuovi entrati, come la Polonia.
Il problema è che molti dei soldi che riceviamo dalla Ue non servono a niente, anzi sono dannosi; faremmo molto meglio a rinunziarvi e chiedere uno sconto equivalente sui contributi che versiamo alla Ue. Potremmo usare questi risparmi per ridurre il cuneo fiscale di almeno 5-6 miliardi all'anno.

Il nuovo programma settennale per il 2014-20 prevede che l'Italia riceverà dalla Ue 33 miliardi di fondi di coesione, di cui 22 miliardi per sole 5 regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, e Sicilia. Questi fondi vanno poi cofinanziati per un pari ammontare dallo Stato italiano. In totale almeno 70 miliardi, circa 10 all'anno.
Questo fiume di denaro porta con sé una gigantesca macchina amministrativa. Si comincia con le migliaia di pagine di piani nazionali e regionali, e poi di sottopiani per ogni obiettivo: questa volta la Ue ha deciso che saranno tredici. Non che questi piani siano necessari, perché un qualunque assessore regionale un po' capace può far passare qualsiasi iniziativa sotto l'etichetta di "innovazione e competitività" oppure "occupazione". Questo spiega le migliaia di bandi, programmi, iniziative, corsi di formazione spesso per pochi milioni o poche centinaia di migliaia di euro; e le decine di migliaia di beneficiari, dal parrucchiere che "forma" una estetista al cinema che prende sovvenzioni per digitalizzarsi.
In tutto questo vengono coinvolti parecchi ministeri (almeno Economia, Sviluppo Economico, Infrastrutture, Lavoro, Politiche agricole, Affari regionali) e molte direzioni all'interno di ogni ministero. Almeno la metà degli assessorati regionali ha a che fare in qualche modo con i fondi europei. Poi vi sono le migliaia di enti e agenzie nazionali e regionali per la formazione, il lavoro, l'internazionalizzazione delle imprese, e via dicendo.

Certe regioni hanno persino diversi fondi pubblici per start-up, ognuno con pochi milioni di euro, e ognuno gestito da un assessorato diverso. Così come vi sono regioni con decine di agenzie o aziende per lo sviluppo, una struttura di partecipazioni incrociate così aggrovigliata che è praticamente impossibile da dipanare.
Alla fine, migliaia di persone campano nel sottobosco creato da questo fiume di denaro e queste migliaia di enti. E purtroppo ci campano anche la corruzione e la malavita. Nessuno ha più il controllo di questo meccanismo. Sfido chiunque - anche i maggiori esperti ministeriali - a illustrare sinteticamente come è strutturata questa spesa.
Abbiamo bisogno di tutti questi soldi? Se fossero così urgenti e necessari, sapremmo come spenderli subito. E invece sappiamo bene che non è così. In questi mesi le regioni si stanno arrovellando per inventare i bandi e i programmi più fantasiosi e inverosimili, ma anche più inutili, pur di spendere i fondi del settennio 2007-2013 rimasti inutilizzati.
Ovviamente, non tutti gli interventi sono inutili. Ma non c'è nessun bisogno di dare i soldi alla Ue per poi farseli ridare con lacci e lacciuoli (per quanto facilmente aggirabili) e quindi rigirarli alle regioni, che spesso non sanno cosa farsene. Dei 10 miliardi all'anno che complessivamente ci verrebbe a costare questa macchina infernale, potremmo utilizzarne diciamo una media di 4 e risparmiarne 6, da utilizzare per contribuire a ridurre il cuneo fiscale, magari con un trattamento di favore per le cinque regioni di cui sopra.
Ma bisogna fare in fretta, perché in questo periodo si decide il nuovo programma settennale. Bisogna dire alla Ue: grazie, rinunciamo ai soldi, in cambio ci fate uno sconto corrispondente sul nostro contributo. La Ue non ha motivo di lamentarsi, perché il contributo netto dell'Italia rimane esattamente lo stesso; ma si dà un taglio alle tasse e a una delle principali fonti di inefficienza, burocrazia, malcostume, corruzione e malgoverno delle regioni.

Roberto Perotti coordina un gruppo di lavoro della segreteria di Matteo Renzi sulla spesa pubblica. Il contenuto di questo articolo rappresenta le idee personali di Roberto Perotti e non è stato in alcun modo sottoposto alla visione né tantomeno al vaglio preventivo di alcun componente del gruppo di lavoro o della segreteria.

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