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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2014 alle ore 14:36.
L'ultima modifica è del 02 marzo 2014 alle ore 15:03.

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Tayyip Erdogan (Epa)Tayyip Erdogan (Epa)

La Turchia si avvia verso una situazione di sempre maggior autocrazia, che della democrazia liberale occidentale ha solo le forme e i comportamenti esteriori, ma nei fatti assomiglia a un sultanato ottomano redivivo, democraticamente eletto dal popolo, ma senza reale separazione dei poteri dello stato.

Nella nuova "costituzione materiale" turca che si va formando nei fatti a marce forzate, in seguito a provvedimenti legislativi presi d'urgenza dopo lo scandalo per corruzione che ha sfiorato l'esecutivo ai massimi livelli, o in risposta ad esso, c'è sempre più solo un uomo al comando, con sempre maggiori poteri sul sistema giudiziario, sui controlli su internet, sulla politica monetaria della banca centrale, sui servizi segreti e, ora, sul sistema educativo.

Il Parlamento turco ha nella notte tra venerdì e sabato adottato una legge per la chiusura di una rete di scuole private preparatorie, le cosiddette dersanes, circa 4 mila istituti di cui mille controllate dalla influente confraternita islamica Hizmet che fa capo al predicatore Fethullah Gulen.

Erdogan accusa da mesi il suo ex alleato Gulen di complottare contro di lui, in uno scontro scoppiato lo scorso novembre, quando il governo filoislamico a guida Akp ha avanzato l'idea di chiudere le scuole, che costituiscono un'importante fonte di guadagno per il movimento Hizmet del predicatore, il quale risiede negli Stati Uniti dal 1999 in un auoto-esilio volontario.

La nuova legge, approvata con 226 voti a favore e 22 contrari su un totale di 550 deputati in Parlamento, prevede la chiusura delle scuole preparatorie per l'esame che consente di accedere alle scuole superiori o all'università, il primo settembre 2015. Anche le opposizioni laiche a partire dal Chp, il partito repubblicano, non hanno ostacolato la chiusura, visto che Gulen era stato un antico alleato di Erdogan contro il sistema secolarista guidato dai militari. Militari oggi messi all'angolo dopo vari processi su presunti colpi di stato, che hanno messo in galera i vertici delle Forze armate, processi ora in procinto di essere rivisti grazie a una nuova legge voluta sempre da Erdogan, che evidentemente si è sentito in dovere di fare marcia indietro.

Insomma dopo 12 anni di dominio incontrastato del partito filoislamico Akp di Erdogan e del presidente della Republica Gul, la Turchia sta cambiando pelle istituzionale in una versione della democrazia che assomiglia sempre più alla versione russa della democrazia parlamentare interpretata in "presa diretta" dal presidente Putin e il premier Medvedev, con staffette di potere annesse. Un modello di democrazia in un grande paese musulmano che si era posto solo pochi mesi or sono come esempio alle ledearship delle Primavere arabe e che oggi si trova isolato al suo interno, con relazioni diplomatiche tese con l'Egitto dei militari (ritiro dei rispettivi ambasciatori), Siria, Israele (in seguito alla vicenda della Mari Marmara), Armenia (colloqui fermi da mesi) e Repubblica di Cipro (colloqui ripresi da pochi giorni). Senza contare la decisioni di non partecipare più all'Expo di Milano comunicato all'Italia pochi giorni or sono da Ankara senza dare spiegazioni ufficiali per la disdetta.

Erdogan ha accusato Gulen di essere all'origine delle inchieste anti-corruzione che hanno coinvolto decine di personalità del regime islamico e nei giorni scorsi lo stesso premier, a causa della messa in rete di un'intercettazione telefonica (falsa secondo il governo) compromettenete del premier con il figlio Bilal. Erdogan ha reagito alle accuse silurando e spostando centinaia di poliziotti e giudici considerati legati al confraternita. Da parte sua, il predicatore ha negato ogni responsabilità per l'avvio delle indagini di corruzione, ma non ha mancato di criticare il premier e il suo governo.

Una svolta dai toni autoritari decisa in un momento dove l'economia turca è in frenata e la valuta viaggia ai minimi storici con l'inflazione che ha rialzato la testa. A fine marzo ci sono le elezioni amministrative: sarà un test importante su Erdogan e la sua politica decisionista che finora ha raccolto successi, ma che ha creato altresì troppe divisioni interne al paese minando la stabilità, fattore importante per gli investitori esteri.

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