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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2014 alle ore 12:36.
L'ultima modifica è del 04 marzo 2014 alle ore 12:38.

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Gli Stati Uniti possono ricorrere a toni durissimi, a minacce che ricordano i tempi della Guerra fredda. Possono contemplare anche sanzioni molto pesanti. Per gli europei le cose stanno diversamente. Le condanne, per quanto severe, difficilmente andranno a intaccare in modo sostanziale le relazioni commerciali tra la Russia e il Vecchio Continente. E anche se dovessero essere prese in considerazione, un embargo sull'energia resta altamente improbabile. La posta in gioco è altissima. Il cordone ombelicale energetico che lega l'Europa alla Russia non può essere reciso. Non ci sono alternative, per ora.

La dipendenza dal gigante dell'energia

Pochi dati sono sufficienti a comprendere il perché la Russia resta un partner irrinunciabile. Il regno di Vladimir Putin è un gigante dell'energia, e non solo sul gas. Sul fronte del petrolio è il primo produttore mondiale, con 10,9 milioni di barili al giorno (mbg) e il secondo esportatore dopo l'Arabia Saudita. Le sue esportazioni ammontano a ben 5,5 mbg, di questo volume oltre 4mbg finiscono in Europa. Quanto al gas naturale, di cui Mosca è secondo produttore mondiale, la dipendenza europea è ancora più accentuata.
Se Gran Bretagna , Francia e altri Stati membri della Ue sono meno esposti, Italia e Germania sono tra i Paesi più vulnerabili. Fino a qualche anno fa L'Italia importava il 30% circa dei suoi acquisti di gas dalla Russia, l'anno scorso ne abbiamo importato circa 15 miliardi di metri cubi su consumi di circa 70 miliardi. «La situazione della Germania è ancora più complessa – precisa Davide Tabarelli, direttore di Nomisma Energia – perché importano dalla Russia 30 miliardi di metri cubi di gas su consumi complessivi di 80 miliardi».

Anche sul fronte petrolifero siamo esposti. Gli ultimi dati disponibili dell'Unione petrolifera parlano chiaro. Nel 2013 la Russia è stato il nostro primo fornitore di greggio, con 10 milioni di tonnellate, vale a dire il 19,2 % delle nostre importazioni petrolifere. Il piccolo, ma sempre più strategico Azerbaijan, peraltro è allo stesso livello con una quota lievemente inferiore, il 19,1 per cento. Se si considerassero gli ultimi sei mesi Baku diventa addirittura il primo fornitore. Ed è proprio su questo punto che occorre fare una riflessione.

Italia orfana del petrolio libico

La crisi russo-ucraina si in inserisce in un contesto già molto difficile. Orfana del petrolio dalla Siria e dall'Iran, entrambi soggetti a sanzioni internazionali, nel 2011 l'Italia si è ritrovata anche senza il petrolio libico. Prima della rivoluzione e la successiva guerra contro Muammar Gheddafi la Libia è stato il nostro storico primo fornitore con una quota del 24% del nostro import petrolifero. Nel maggio del 2013 era tornato per poco vicino a questi livelli, quand'ecco che un valanga di scioperi e proteste è culminata nella chiusura dei principali terminali libici per l'esportazione di petrolio e gas, facendo crollare, nei momenti più critici, la produzione di greggio dagli 1,4 milioni di barili al giorno del maggio 2013 a meno di 100 mila in settembre (ancora oggi il volume non supera i 500mila barili/giorno).

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