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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2014 alle ore 12:36.
L'ultima modifica è del 04 marzo 2014 alle ore 12:38.

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Senza il pregiato petrolio libico abbiamo dovuto ricorrere ad acquisti sul mercato spot, pagando un petrolio simile ad un prezzo più alto. Aggiungendo, poi, i maggiori costi di trasporto quando il greggio proveniva da Paesi più lontani, come Golfo Persico o Azerbaijan. La Russia, invece, è sempre stata considerata un affidabile fornitore.
«Consideriamo che il 60% dei consumi energetici dell'Europa arriva dagli idrocarburi – continua Tabarelli - e di questo 60% un quarto arriva dalla Russia. Dall'Ucraina transita anche l'oleodotto di Druzhba, che trasporta ogni giorno circa un milione di barili dalla Russia in Europa».

Il peso dei gasdotti

Ma non si tratta solo di approvvigionamenti. Grandi major energetiche europee sono coinvolte nella costruzione dei gasdotti tra Russia e Unione Europea. Come il South Stream, il gasdotto che dovrebbe attraversare il Mar Nero, bypassando l'Ucraina, a cui ha partecipato alla progettazione, oltre al colosso russo Gazprom, l'italiana Eni. E a cui in seguito si sono aggiunte Gaz de France e la tedesca Wintershall. Anche l'altro grande , e strategico, gasdotto, il North Stream, la linea sotto il mar Baltico tra Russia e Germania, già in funzione, vede la partecipazione di grandi gruppi europei. Gazprom detiene la maggioranza, ma tra i soci con quote figurano imprese tedesche E.on e Wintershall, l'olandese Gasunie e la Gaz de France. Si tratta di investimenti per svariati miliardi di euro.

Dal canto suo anche la Russia non può permettersi di perdere il mercato europeo. Per un Paese che dalle esportazioni di energia ricava più del 50% del budget governativo, l'Europa è un cliente irrinunciabile. Ma quando entrano in gioco la geopolitica e gli interessi nazionali, fare previsioni, o scommettere sul buon senso, è un'operazione che rischia di riservare cattive sorprese. «Europa e Russia hanno una storica relazione commerciale, molto stretta - conclude Tabarelli - Sarebbe inconcepibile metterla a repentaglio».

Rischio impennata per il greggio

Infine c'è un altro punto che rende ancor più pericolose, e improbabili, le sanzioni energetiche. Misure di questo tipo avrebbero l'effetto di far decollare il prezzo del barile, già da diversi mesi su valori indesiderabili per molti Paesi consumatori, soprattutto europei. In questi giorni il Brent, greggio di riferimento per il mercato europeo, si trova intorno ai 110 dollari al barile.
Ecco perché, per quanto nessuno lo sostenga apertamente, le sanzioni energetiche contro la Russia sono un tabù. Arrecherebbero un danno economico a molte delle parti coinvolte in un periodo economicamente molto difficile. Di questi tempi l'ultima cosa di cui si ha bisogno è di un barile a 120-130 forse anche 140 dollari.

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