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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2014 alle ore 12:42.
L'ultima modifica è del 10 marzo 2014 alle ore 14:29.

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Raffaele Cantone (Itali Photo Press)Raffaele Cantone (Itali Photo Press)

Classe 1963, napoletano, oggi in Cassazione ma con un passato famoso per aver lottato con successo contro il clan dei casalesi – fino a far condannare all'ergastolo boss come Francesco Schiavone, detto Sandokan – Raffaele Cantone approda alla guida dell'Anticorruzione: la nomina, ha detto il premier Matteo Renzi, avverrà al Consiglio dei ministri di mercoledì. Il prestigio di Cantone è indiscusso e raccoglie consensi unanimi. Ma la scommessa è tutta da vincere, per motivi noti e meno noti.

Una storia tormentata
La struttura dell'Anticorruzione, infatti, è ben lungi dall'essere un gruppo agguerrito e poderoso di ispettori e 007 pronti a scovare i mille rivoli dell'illegalità sparsi nella pubblica amministrazione. La stessa storia di questo ufficio lo dimostra, al di là delle figure di prestigio che l'hanno guidato. Nasce nel 2003, con la legge n. 3, il nome è tutto un programma: «Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione». Al governo c'è Silvio Berlusconi, il primo alto commissario è il magistrato Gianfranco Tatozzi: se ne andrà dopo due anni denunciando una non meglio specificata «scarsa sensibilità» verso la lotta alla corruzione. Poi si scatena una serie di superprefetti: nell'ordine Bruno Ferrante, Achille Serra e Vincenzo Grimaldi, tutti al top della carriera e con un passato comune, tra l'altro, nell'incarico di vicecapo del Dipartimento di Pubblica sicurezza.

Ci provano i superprefetti
Serra, in particolare, cerca di fare il possibile e l'impossibile insieme al prefetto Silvana Riccio, nominata direttore generale. Vanno a caccia delle corruttele nella sanità, soprattutto in Calabria ma anche a Roma, nelle università, in altri uffici pubblici. C'è un nucleo sparuto ma generoso di forze dell'ordine a disposizione, meno delle dita di una mano, qualche segnale si vede. Poi Serra lascia perché si candida al Senato col Pd, lascia il testimone a Grimaldi e infine, nel 2008, con l'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti, l'Alto commissario viene soppresso: «Costa troppo» è in sintesi la – incredibile, surreale - motivazione. Rinasce dalle ceneri una struttura minore, ma imprescindibile per ottemperare all'articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, che impone un'autorità nazionale anticorruzione. I nomi coinvolti restano di primo livello, da Luciano Hinna a Filippo Patroni Griffi, da Luisa Torchia a Pietro Micheli. Ma è chiaro che non c'è più la struttura e le ambizioni iniziali.

L'attuale identità
Oggi la sigla ufficiale è Anac, "Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche", con un presidente, Romilda Rizzo, subentrata ad Antonio Martone, che resta componente insieme ad Alessandro Natalini. Più un segretario generale, Antonella Bianconi, un dirigente e 19 dipendenti, secondo il sito ufficiale www.anticorruzione.it. Da questo scenario poco esaltante deve ripartire Cantone. E se la sede di un'istituzione può essere la metafora della sua identità, giova ricordare che l'Alto commissario anticorruzione si trovava nel prestigioso palazzo Fiano a Roma, in piazza San Lorenzo in Lucina – aveva ospitato persino il Circolo degli Scacchi - fino alla guida di Grimaldi. Poi, quando fu sciolto, si trasferì in locali molto meno blasonati a Trastevere, davanti a una biscotteria. Nel frattempo, proprio negli stessi locali di palazzo Fiano, si è insediata da alcuni mesi Forza Italia.

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