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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2014 alle ore 13:06.
L'ultima modifica è del 10 marzo 2014 alle ore 14:17.

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Esiste una ricetta per alleviare la dipendenza energetica dell'Europa dalla Russia? Sarà possibile per Bruxelles affrancarsi, in tempi accettabili dal giogo energetico russo? Se queste problematiche questioni finora non hanno trovato risposta, la ragione è semplice: a oggi, sul tavolo, non c'è una soluzione efficace, economicamente accessibile e soprattutto immediata.

Agli occhi di diversi senatori del partito repubblicano, e di alcuni democratici, lo shale gas americano potrebbe avrebbe le carte in regola per danneggiare le entrate energetiche del Cremlino. L'idea sarebbe di fare il gioco della Russia, e utilizzare le abbondati riserve nordamericane di gas di scisto come uno leva politica strategica. Così come ha fatto Mosca per decine di anni con l‘Europa.

Anche i vulnerabili – energeticamente - Paesi dell'Europa centro orientale la pensano così. In quest'ottica la scorsa settimana gli ambasciatori a Washington di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, hanno scritto una lettera ai senatori del Senato e del Congresso chiedendo loro di accelerare il processo per esportare il gas Americano

Più facile a dirsi che a farsi. Senza dubbio la rivoluzione energetica che ha trasformato gli Stati Uniti nel primo produttore mondiale di gas naturale (la Russia è il secondo) ha portato grandissimi vantaggi all'economia americana, contribuendo, insieme al "tight oil", a una nuova fase industriale. Nel 2000 lo shale rappresentava l'1% della produzione nazionale di gas. Nel 2012 la percentuale è arrivata al 30. E da qui al 2040 oltre il 50% della produzione Usa deriverà dall'utilizzo di questo metodo di estrazione ottenuto con la fratturazione idraulica di rocce contenenti gas a grande profondità. Tradotto in prezzo, sul mercato spot il gas "Made in Us" costa alle imprese locali 3 volte in meno rispetto agli europei. È facilmente intuibile la perdita di competitività delle nostre imprese

Davanti all'invasione russa della Crimea diversi senatori americani vorrebbero assumere un'iniziativa concreta: ridimensionare l'arma energetica russa esportando gas naturale liquefatto (Lng). Ecco perché una crescente fronda all'interno del Senato, guidata dalla senatrice Lisa Murkowski, sta facendo pressioni al presidente Barack Obama affinché ammorbidisca le restrizioni all'export di gas naturale e elimini l'embargo in vigore da decenni sull'export di greggio americano.

In questo modo verrebbe ridotta l'influenza di Mosca sui Paesi europei più esposti energeticamente verso la Russia. Tra cui Italia e Germania. Fino a qualche anno fa l'Italia importava il 30% circa dei suoi acquisti di gas dalla Russia, l'anno scorso ne ha importato circa 15 miliardi di metri cubi su consumi di circa 70 miliardi. La Germania è ancora piè esposta: importa dalla Russia 30 miliardi di metri cubi di gas su consumi complessivi di 80 miliardi. Quanto al petrolio, la Russia (primo produttore mondiale) ne esporta 5,5 milioni di barili al giorno, di cui oltre 4 finiscono in Europa (nel 2013 Mosca è stato il primo fornitore di greggio dell'Italia, con il 19,2 % del nostro import di greggio)

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