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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2014 alle ore 13:15.
L'ultima modifica è del 11 marzo 2014 alle ore 16:44.

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La paura fa novanta, e in qualche modo ora anche la sconfitta. È quella del fallimento del fronte trasversale delle deputate impegnate fino all'ultimo nella battaglia per stabilire parità di genere in lista. Qui, mercè anche l'aiutino del voto segreto, hanno prevalso gli uomini di (quasi) tutti i colori, e di parte delle donne di Forza Italia contrarie alle quote rosa per legge. Ma il dato politicamente più succulento è che in un passaggio non certo agevole risulta aver retto l'asse di ferro dei due grandi signori dell'intesa, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.

Il primo tempo della partita dell'Italicum ai minuti finali consegna un vantaggio di misura per i «contraenti maggiori». Il Cavaliere ha dovuto, sì, ingoiare il rospo della cancellazione delle norme relative al Senato, e con «grave disappunto»: rispetto alla versione iniziale dell'intesa concordata con il neopremier la "strana" alleanza fra Angelino Alfano e minoranza dem è riuscita a far centro ottenendo, nel corso dell'iter parlamentare, che la nuova legge (quando approvata) entri in vigore solo alla Camera. Per Palazzo Madama in caso di elezioni varrà il sistema proporzionale uscito dalla sentenza della Corte costituzionale l'11 gennaio scorso, il che se è vero lascia nelle mani di Renzi una pistola scarica privato com'è della possibilità di usare la minaccia delle urne (non certamente malviste dal leader di Forza Italia) contro le pretese dei "piccoli" non ha creato più di tanto sconquassi.

Nessuno può dubitare che Matteo Renzi e Silvio Berlusconi abbiano saputo difendere la parola data l'un l'altro in un percorso dimostratosi carico di insidie. Sempre che - e sarebbe un vero colpo da maestro - proprio l'Italicum «dimezzato» non si risolva a essere per via della sua «disfunzionalità» un espediente utilizzabile dal presidente del Consiglio per costringere gli scettici a fare la grande riforma del Senato, come è parso augurarsi fra gli altri il politologo Roberto D'Alimonte. Il problema è un Parlamento possibile sulla carta con due maggioranze e soglie d'accesso del tutto diverse.

A Montecitorio si passa a un sistema proporzionale con un premio di governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione risultata prima (per il premio servirà aver superato la soglia del 37%, stabilito al massimo al 15%, così da permettere al vincitore di raggiungere ma non superare il tetto dei 340 seggi, pari al 55%). Se nessuno supera la soglia del 37%, i primi due partiti o coalizioni si sfidano in un doppio turno per l'assegnazione del premio; il vincitore prende 327 seggi, il resto (290) viene attribuito ai partiti rimanenti. Per il Senato, essendo stato cancellato qualunque riferimento nella norma, proporzionale puro senza correttivi.

Ovviamente gli avversari di Renzi fuori ma anche dentro il Nazareno sperano in chance di rivalsa e non hanno alcuna intenzione di sotterrare l'ascia di guerra quando l'Italicum approderà a Palazzo Madama. Ancor più ora che, si sostiene, il premier-segretario ha contribuito ad affossare le norme per la parità di genere senza una previsione obbligatoria di voto a favore della presenza femminile. Serviranno ancora quindici giorni perché venga formalizzato l'atto formale per la radicale risistemazione del Senato e in molti tuonano contro l'anomalia di dover discutere dei cambiamenti futuri senza conoscere prima i contenuti della riforma immaginati dal governo. Ma c'è anche il nodo-bandiera delle preferenze su cui Ncd non smette di insistere (non saremo «notai» tiene a ripetere il capogruppo Schifani).

Per non dire dei criticatissimi tetti stabiliti alla Camera. «La soglia dell'8% per i partiti che vanno da soli è molto alta. Per il premio di maggioranza una soglia ragionevole è il 40% e non il 37% attuale», aveva annunciato nei giorni scorsi la presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro (Pd). Con questo all'orizzonte Forza Italia si prepara alle barricate. La tutela dell'accordo Renzi-Berlusconi ha lasciato sul campo vittime anche dalla propria parte. Della ipotizzata norma «salva-Lega» non rimane più traccia.

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